Il referendum popolare che si svolgerà il prossimo 20 e 21 settembre interviene a seguito della richiesta di un quinto dei membri di una Camera presentata entro tre mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (numero 240 del 12 ottobre 2019) del testo di legge costituzionale di modifica degli artt. 56, 57 e 59 della Costituzione.
Il referendum si instaura, quindi, nel procedimento di approvazione delle leggi di revisione costituzionale ex art. 138, comma 2, Cost. Non ha carattere abrogativo, bensì può approvare o respingere le modifiche approvate dalle Camere in seconda votazione nelle sedute dell’11 luglio 2019 (Senato della Repubblica) e dell’8 ottobre 2019 (Camera dei Deputati).
Il punto di maggiore incidenza di tali modifiche è quello che verte sul numero dei componenti di ciascuna Camera. In caso di vittoria del Sì, il testo dell’art. 56, comma 2, Cost. diventerà come segue: Il numero dei deputati è di quattrocento, otto dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Il testo dell’art. 57, comma 2, Cost. sarà, invece, modificato nel modo seguente: Il numero dei senatori elettivi è di duecento, quattro dei quali eletti nella circoscrizione Estero.
La legge di revisione costituzionale interviene, anche, sulla ripartizione dei seggi: modificando per la Camera dei Deputati il divisore del numero degli abitanti della Repubblica da seicentodiciotto a trecentonovantadue; per il Senato della Repubblica, riducendo il numero minimo di senatori eletti per ciascuna Regione da sette a tre (lasciando fermi i due per il Molise e l’uno per la Valle d’Aosta).
Infine, la legge di revisione introduce una novella dell’art. 59, comma 2, Cost.: limitando il numero complessivo di senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica al massimo di cinque. Tutto qui. Non è prevista nessuna ulteriore modifica al testo della Costituzione.
Da studioso del diritto, dunque, è stato bene chiarire, al di là delle retoriche politiche, il contenuto reale della riforma. Da cittadino, mi permetto di offrire un chiarimento, a mio modesto parere, sul vero punto del problema che la riforma costituzionale non può certo né affrontare e né risolvere, poiché non è ad essa che compete.
La retorica politica vede, invero, i fautori del Sì sbandierare il risultato di aver ridotto i costi della politica e la cosiddetta “casta”; i fautori del No ribadire che la nostra è una democrazia rappresentativa e la riduzione del numero dei parlamentari si pone come una incrinatura della stessa.
Mi sembra che entrambe le tesi non centrino il punto: vale a dire il chi viene eletto. Il Parlamento è divenuto agli occhi delle masse luogo di scandali e privilegi per i comportamenti di alcuni suoi componenti, non certo per il numero degli stessi. Anzi, il numero “eccessivo” degli stessi è stato notato proprio a valle di tali comportamenti che hanno colorato le pagine dei giornali e le immagini dei telegiornali.
È indubbio che l’istituzione del Parlamento esige il rispetto e la riverenza di ciascun cittadino poiché essa è la chiave di volta del nostro sistema costituzionale e ne esprime appieno l’idea di democrazia, ma è, altresì, fuor di dubbio – parafrasando uno dei più acuti autori della nostra letteratura – che i parlamentari “che incarnano un’idea non possono, non devono scendere” per legislature “al di sotto di un certo livello; se no, anche l’idea patisce”.
Sicché, si comprende agevolmente il punto di vista che vede nello smantellamento di parte di essi un bene per la Repubblica. Viene, però, da pensare all’intercessione di Abramo in Genesi, 18, 23 e ss.: laddove cerca di attenuare la collera divina nei confronti della città di Sodoma a fronte della presenza nella stessa, dapprima, di cinquanta e, infine, di dieci giusti. Come noto, solo Lot e la sua famiglia scamperanno alla distruzione di Sodoma. Ebbene, anche nel nostro caso, la differenza vera non sarà fatta dai novecentoquarantacinque o dai seicento parlamentari, bensì dal loro essere “giusti”.
La riflessione che, dunque, dovrebbe guidare l’elettorato attivo, a mio avviso, non tanto nel referendum popolare ormai prossimo, ma nelle future elezioni politiche, è quello della meritevolezza e della competenza dell’elettorato passivo di quei novecentoquarantacinque (in caso di vittoria del No) o seicento (in caso di vittoria del Sì) parlamentari.
Se non si ragionerà seriamente da parte delle forze politiche e degli elettori su questo, i conti, allora, continueranno a non tornare.