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Ordine pubblico e questione razziale negli Usa. L’analisi del prof. Fiorentino

Di Daniele Fiorentino
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La drammatica tensione razziale riemersa in questi ultimi mesi negli Stati Uniti, soprattutto a seguito di una serie di morti provocate dall’intervento della polizia in diverse città, è solo la più recente recrudescenza di un fenomeno che vede la popolazione afroamericana cadere vittima di violenza, anche istituzionale, in misura percentualmente più elevata di ogni altro gruppo etnico residente nel Paese.

In realtà quello della violenza della polizia contro le persone di colore, in particolare giovani maschi adulti, è solo uno degli aspetti di un fenomeno che caratterizza la storia americana dalla fondazione della Repubblica. La discriminazione razziale, la paura dei neri e della loro diversità, le ripetute violenze fisiche o psicologiche, dalla schiavitù alla segregazione razziale, dai linciaggi all’aggressività delle forze dell’ordine, continuano a macchiare un Paese che proclama la centralità della libertà dell’individuo e dell’habeas corpus.

Quel che è avvenuto dall’inizio dell’anno nelle città americane, culminato con l’uccisione di George Floyd il 25 maggio a Minneapolis, è la conferma di una preoccupante tendenza delle forze dell’ordine a ricorrere con troppa facilità alla forza bruta quando si tratta di fermare o interrogare dei cittadini afroamericani. La morte di Floyd è stata infatti preceduta da quelle di altre persone di colore, la cui tragica fine era stata inizialmente minimizzata. Proprio a inizio settembre è riemersa la vicenda di Daniel Prude, un afroamericano mentalmente instabile, fermato a marzo dalla polizia di Rochester nello Stato di New York che lo ammanettò e incappucciò fino a provocarne il soffocamento. Le nuove immagini pubblicate di recente dai media americani dimostrano l’inutilità di un esagerato uso della forza. Ma tra Prude e Floyd ci sono state anche le morti di Ahmaud Arbery, Breonna Taylor, Tony McDade e altri.

Purtroppo la tendenza di interventi fatali della polizia negli Stati Uniti negli ultimi anni registra un incremento progressivo tanto da contare oltre 600 morti, 120 dei quali di colore, a tutto agosto 2020. Questo è il risultato di un altro inquietante fattore che grava sulla società americana, l’uso eccessivo di armi da fuoco tanto da parte della polizia quanto di civili. Bisogna infatti considerare anche le ripetute sparatorie avvenute in luoghi pubblici che vengono attribuite da molti alla troppo diffusa circolazione di armi nel Paese. Questi incidenti non hanno necessariamente sempre un risvolto razziale ma è indubbio che sono state spesso opera di suprematisti bianchi.

Quella della violenza endemica, anche e soprattutto a sfondo razziale, e degli interventi eccessivi della polizia è diventata oggi un’emergenza che incide a livello sociale, psicologico e, non ultimo, politico tanto da rappresentare una questione importante nelle imminenti elezioni di novembre. Se da una parte il presidente Trump promette “law and order”, un appello caro in particolar modo ai repubblicani bianchi, dall’altra il Partito democratico, fin dall’amministrazione Obama, ha portato all’attenzione della cittadinanza la questione della facilità nell’acquisto di armi e della violenza diffusa. In questa partita gioca un ruolo importante anche l’organizzazione #BlackLivesMatter, fondata nel 2013 a seguito dell’uccisione da parte della polizia della Florida del diciassettenne Travyon Martin. Il movimento, inizialmente concentrato sulla sensibilizzazione nei confronti della precarietà della libertà e del diritto alla vita degli afroamericani, principi fondamentali della nazione, ha poi allargato la propria influenza anche se il suo coinvolgimento in alcuni confronti aspri con le istituzioni ha fatto oscillare l’indice di gradimento soprattutto nella popolazione bianca adulta.

A quasi sessant’anni dal famoso discorso di Martin Luther King “I have a dream” gli afroamericani non hanno ancora raggiunto un pieno riconoscimento del loro diritto a essere cittadini come tutti gli altri. Dal XIII emendamento alla Costituzione del 1865 che aboliva la schiavitù ai movimenti e alle leggi sui diritti civili degli anni Sessanta e le rivolte nei ghetti degli ultimi decenni di fine Novecento sono cambiate tante cose, compresa la possibilità che un uomo di colore possa sedere alla Casa Bianca. Ma la questione afroamericana è ancora una delle contraddizioni irrisolte della società nordamericana che non può di certo migliorare con gli interventi della polizia, che piaccia o meno all’attuale amministrazione.

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