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L’arma incredibile di Trump? Esiste davvero e… Parla Davide Urso

Gli Stati Uniti hanno davvero un sistema d’arma “incredibile”, capace di spostare gli equilibri di deterrenza e le strategie nei vari scenari regionali di confronto con Russia e Cina (e non solo). È un mix sinergico tra lo sviluppo di vettori e la testata a carico ridotto W76-2, lanciabile da missili balistici supersonici o addirittura, in futuro, da un super-drone spaziale. Parola di Davide Urso, esperto di geopolitica, strategie nucleari ed energia. Formiche.net lo ha raggiunto per capire davvero la credibilità delle parole di Donald Trump nelle anticipazioni del libro Rage dedicato alla sua presidenza. Il tycoon avrebbe confidato al giornalista Bob Woodward di avere “un sistema nucleare… un’arma che nessuno ha mai avuto prima in questo Paese; abbiamo qualcosa che non si è mai visto e sentito: abbiamo qualcosa di cui Putin e Xi non hanno mai saputo; quello che abbiamo è incredibile”.

Che idea ha delle rivelazioni sull’arma incredibile? Solita sparata di Trump?

La mia idea è che non sia una sparata. Certamente ci può essere una voluta propaganda nell’uso delle parole, ma ciò che ha detto Trump è sostanzialmente vero. Ovviamente non si tratta solo di una nuova testata nucleare, peraltro cosa non vera, ma di un sistema d’arma, cioè di un’unione congiunta tra testata e vettore di trasporto. Che gli Stati Uniti ne abbiamo sviluppato uno avanzato è assolutamente plausibile e veritiero.

Partiamo dal vettore.

Può essere sostanzialmente di due tipologie. La prima riguarda gli Ssbn-734 o simili missili balistici lanciati da sottomarini. Vanno sopra Mach5 e, rispetto ai bombardieri a lunga distanza, i sottomarini ne aumentano l’imprevedibilità poiché riducono la visione, che chiaramente persiste nei velivoli. La seconda tipologia mi sembra più futuribile, ma comunque credibile nel giro di qualche anno. Riguarda il mega-drone spaziale X-37B. Può stare in orbita per due anni e, se connesso con la capacità di miniaturizzare le testate, potrebbe colpire in qualsiasi momento dallo spazio, restando tanto tempo in allerta, a patto che mantenga al suo interno temperature e pressione adeguate al trasporto del payload.

E per quanto riguarda la testata?

L’ammodernamento di una nuova testata è iniziato già con Obama. Nel 2015 un rapporto del Pentagono e del Centro studi strategici di Washington spingeva per testate low-yeld, cioè a minor carico esplosivo. La cosa è divenuta più importante con la Nuclear Posture Review, rilasciata a febbraio 2018 dall’amministrazione Trump. In quel documento ci sono parole fondamentali a livello strategico. Si chiede di “contribuire a contrastare qualsiasi errata percezione di lacune sfruttabili nella capacità di deterrenza regionale degli Stati Uniti”. Leggendole bene, esse aprono due scenari che rendono credibili le parole di Trump a Woodward, cioè l’esigenza regionale della politica estera trumpiana e le lacune sfruttabili legate alla percezione. Nonostante il termine “percezione”, si trattava di lacune reali negli Usa.

Ci spieghi meglio.

Gli Stati Uniti non avevano una capacità definita “prompt” nucleare che fosse affidabile e imprevedibile in scenari regionali. Proprio per questo è stato per loro necessario il deployment, tra le basi in Europa, gli impegni della Nato, i dispiegamenti overseas e le navi, tutto con costi enormi di uomini e materiali; il risultato era una deterrenza regionale costosa e complicata. Con la politica estera di Donald Trump, la deterrenza regionale è divenuta più importante. Al presidente non interessa essere lo sceriffo globale, ma sviluppare deterrenza lì dove fa comodo agli Usa dal punto di vista strategico ed economico. Da qui la necessità che si azzerasse la percezione di lacune e, in parallelo, di sviluppare capacità a sostegno della politica estera regionale.

Da qui, dunque, le testate low-yeld. È corretto?

Sì. Senza inventarsi nulla. La testata in questione è la W76-2, dove il “2” indica un secondo modello. Il primo era molto simile, caricato sui missili Trident. L’evoluzione è stata complessa ma importante. Per la W76-2 si è infatti annullato il termonucleare secondario, rendendo così più veloce la produzione. Il carico esplosivo massimo è di otto chilotoni. Può essere messo su missili balistici a medio-lungo raggio o lunghissimo e sui nuovi vettori ipersonici. Questi missili hanno traiettorie di ritorno molto più imprevedibili, e hanno così permesso agli americani di superare un loro problema storico, ovvero la prevedibilità dei vettori in fase di lancio e di ritorno (le più delicate), non annullabile nemmeno con esche elettromagnetiche o fisiche.

E questo cambia gli equilibri?

Sì. La strategia russa in primis, ma anche nordcoreana e sotto certi aspetti iraniana, è quella del “escalate-to-deescalate”, basata su testate nucleari tattiche a basso carico, utili a dire al nemico “ti posso attaccare in qualsiasi momento”, quindi scoraggiando l’avversario dal rispondere con un contro-attacco nucleare e forzando così la riduzione o la fine del conflitto. Si tratta di una sorta di controllo del grado delle ostilità basato su minacce coercitive, incluso soprattutto il nucleare limitato. Gli Stati Uniti non hanno mai ricorso a tale strategica, poiché utilizzavano le capacità aircraft dual use della Nato e i propri bombardieri a lungo raggio; questo era il connubio scelto come migliore strategia per contrastare le deterrenze regionali. Ora hanno invece rovesciato completamente tale strategica. Gli Stati Uniti si sono dotati di una loro “escalate to de-escalate”, prettamente strategica ma anche tattica, poiché la W76-2 permette la prompt response. Vuol dire avere una strategia di deterrenza che unisce un sistema d’arma tattico su vettori strategici.

Più credibile?

Sì, perché costa di meno, è prodotta più rapidamente e si muove su un vettore rapidissimo. Inoltre, il payload più piccolo permette il caricamento a testate multiple. È molto simile a ciò che accadeva durante la Guerra fredda, solo che è una Guerra fredda 4.0, fatta aumentando la soglia nucleari, ma riducendo il rischio che si possa usare il nucleare. La Russia, ad esempio, abbassando lo yield aumentava la sua soglia nucleare, ma al tempo stesso aumentava anche la possibilità di un suo uso. In questo caso, invece, gli Stati Uniti aumentano la soglia, ma ne riducono il rischio di utilizzo.

Perché?

Perché parliamo di una testata tattica su vettori strategici. Gli Stati Uniti non vogliono ricorre al first use (pur avendone capacità). In questo modo, il nemico sa benissimo che qualunque attività verrebbe distrutta in tempi ipersonici dalla deterrenza regionale americana. La Russia non aveva questo sistema e il rischio era (come d’altra parte nel caso della Corea del nord) un attacco-e-risposta. Ora l’attacco è di minor rischio perché la risposta è ipersonica e non vedrà mai vista, arrivando a Mach5 da un sottomarino, con una traiettoria di ritorno e, magari in futuro, persino dall’orbita spaziale.

Ma è vero, come avrebbe detto Trump, che Russia e Cina non hanno idea di quello che sia questa arma “incredibile”? Gli altri non stanno sviluppando tecnologie simili?

Nel 2015 l’amministrazione Obama ha avviato il miglioramento della W76-1 per due nemici: la Russia (al 99%) e l’Iran (solo all’1% visto l’accordo sul nucleare e la politica estera di riavvicinamento a Teheran). Poi, con l’amministrazione Trump è aumentato il numero dei nemici (si sono aggiunte Cina e Corea del nord, oltre all’Iran) e si è concentrata ancora di più l’attenzione sulla deterrenza regionale. Nessuno dei competitor in questione ha oggi una pari capacità congiunta di una W76-2 su vettori di questa portata. È un’unione strategico-tattica avanzatissima a velocità e imprevedibilità uniche. Non che gli altri non le stiano sviluppando, ma credo che nessuno avrà una simile capacità di “prompt response” nei prossimi anni. O meglio, nessuno (a meno di pazzia, comunque sempre da tenere in considerazione) avrà mai l’ardore di tentare un attacco.

Tra l’Arabia Saudita che vorrebbe la sua arma nucleare, l’Iran che conferma la collaborazione con la Russia in campo apparentemente civile, l’ascesa cinese e la fine dei trattati di controllo, stiamo assistendo a una nuova corsa all’arma atomica?

La corsa non si è mai fermata. Il sistema di controllo degli armamenti e i trattati in vigore si basano sostanzialmente sull’obiettivo di evitare che gli Stati non-nucleari (Nws) si possano dotare dell’arma nucleare. Non è scritta da nessuna parte l’intenzione degli Stati nucleari (Nws, cinque ufficiali, e altri tre non ufficiali) di azzerare le proprie capacità. Punta invece a mantenere un numero di testate strategiche e tattiche che permetta al mondo di stare in equilibrio. Oltre il numero, inoltre, c’è il continuo ammodernamento di testate e vettori, mai arrestatosi. Infine, c’è lo sviluppo di armi super-convenzionali che hanno capacità di impatto e di minaccia simili a quelle nucleari. Maggiore è il numero di super-convenzionali, minore è l’esigenza di nucleare. Il resto è propaganda.

In definitiva, gli Stati Uniti hanno davvero un’arma “incredibile”?

Non nel senso di non-credibile, quanto nel senso di sistema straordinariamente avanzato. È il frutto di miliardi e miliardi di investimenti sin dal 2008, finalizzati a ridurre una lacuna esistente (e non solo percepita) così da scoraggiare le capacità nucleari tattiche di ogni possibile avversario.


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