Ieri, 27 settembre, il mio paese si è svegliato in una situazione che per anni abbiamo cercato di evitare, ma già negli ultimi mesi avevamo vissuto nuove aggressioni, che lasciavano presagire gli eventi di queste ore. Il conflitto del Nagorno Karabakh tra l’Armenia e l’Azerbaigian vive una dolorosa recrudescenza e le forze armate dell’Armenia, in queste ore, stanno deliberatamente ed intenzionalmente prendendo di mira obiettivi umani e infrastrutturali civili. Come espressione di un Paese, l’Azerbaigian, che in questi anni ha impegnato a pieno i suoi sforzi per raggiungere una soluzione pacifica del conflitto, credo che sia necessario ripercorrere storicamente i fatti che hanno portato a questa situazione.
Il Nagorno Karabakh è la parte montuosa del Karabakh, territorio storico dell’Azerbaigian. Il nome stesso deriva da due parole azerbaigiane: “gara” – nero e “bag” – giardino. Dai tempi antichi fino all’occupazione dell’Impero zarista, nel 1805, con il trattato di Kurakchai, questa regione era parte di diversi stati azerbaigiani, da ultimo il khanato di Karabakh. Nel 1828, alla firma del trattato di Turkmanchay, al termine della guerra Russia-Iran, seguì un massiccio trasferimento di armeni nel Caucaso del Sud, in particolare nei territori dei khanati azerbaigiani di Irevan (attuale Yerevan, capitale dell’Armenia) e di Karabakh. Il flusso migratorio è proseguito fino all’inizio del XX secolo. Successivamente è stato creato lo stato dell’Armenia nei territori dell’Azerbaigian e ampliato durante il periodo sovietico a spese della superficie azerbaigiana. Nel 1923 in Azerbaigian è stata creata la provincia autonoma del Nagorno Karabakh, i cui confini amministrativi vennero definiti in modo che gli armeni fossero l’etnia maggioritaria. Invece l’Armenia non solo non ha riconosciuto autonomia per la minoranza azerbaigiana in Armenia, ma ha promosso un clima di intolleranza e ha fatto di tutto per liberarsi della locale comunità azerbaigiana.
Nel 1988 l’Armenia ha avviato nuove rivendicazioni territoriali contro l’Azerbaigian, questa volta per la regione azerbaigiana del Nagorno Karabakh, e nello stesso tempo tutti gli ultimi azerbaigiani (più di 250 mila) in Armenia sono stati deportati dalle loro terre natali. Possiamo dire che le radici del conflitto sono dunque nel trasferimento degli armeni nei territori azerbaigiani, oltre che nella decisione di creare una provincia autonoma nella parte montuosa della regione del Karabakh dell’Azerbaigian. Dopo la dissoluzione dell’Urss, l’Armenia ha avviato un’aggressione militare contro l’Azerbaigian, occupando il 20% dei territori riconosciuti internazionalmente dell’Azerbaigian, inclusa la regione del Nagorno Karabakh e sette distretti adiacenti, realizzando una pulizia etnica contro tutti gli azerbaigiani (più di 750 mila) in questi territori ed anche compiendo crimini di guerra e un genocidio contro civili azerbaigiani nella città di Khojali.
Oggi abbiamo più di un milione di rifugiati e profughi azerbaigiani e non è rimasto un singolo azerbaigiano nei territori occupati. L’Armenia, per coprire la sua aggressione, ha creato nei territori occupati dell’Azerbaigian un regime illegale fantoccio detto “repubblica del Nagorno Karabakh”, non riconosciuta da nessun paese, inclusa l’Armenia stessa. Ci sono numerosi documenti internazionali, incluse quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che riconoscono la regione del Nagorno Karabakh come parte integrante dell’Azerbaigian, confermano la sovranità, l’integrità territoriale e l’inviolabilità dei territori riconosciuti internazionalmente dell’Azerbaigian e richiedono all’Armenia di ritirare le sue truppe dai territori occupati e il ritorno di tutti i rifugiati e profughi azerbaigaini nelle sue terre, tutti ignorati da parte dell’Armenia.
Nonostante queste premesse, negli ultimi quasi 30 anni l’Azerbaigian ha cercato di far sì che i negoziati avessero successo e che la diplomazia, con la mediazione del Gruppo di Minsk dell’Osce, portasse la pace nella regione. Ma l’atteggiamento oppositivo della controparte armena ha ostacolato ogni progresso. L’Armenia, in questi anni, ha sempre cercato di prolungare i negoziati, bloccare la risoluzione del conflitto e perpetuare lo status quo. La così detta “rivoluzione di velluto” in Armenia, che ha portato al rovesciamento del precedente regime criminale militare e alla presa del potere da parte di Nikol Pashinyan, avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi ma Pashinyan, sullo sfondo della sua incapacità a risolvere i problemi interni e mantenere le sue promesse di sviluppo, e della crescente insoddisfazione del popolo per la dittatura rivoluzionaria radicata nel paese, ha cercato di distogliere l’attenzione della popolazione verso questioni esterne, radicalizzando, innanzi tutto, proprio la sua posizione sulla questione del Nagorno-Karabakh.
Ciò ha portato ad azioni irresponsabili e dichiarazioni provocatorie, tra cui il tentativo fallito di cambiare il formato dei negoziati nell’ambito del gruppo di Minsk dell’Osce, insistendo sul coinvolgimento del regime fantoccio illegale creato nei territori occupati, l’invio di suo figlio a prestare servizio militare nei territori occupati, la sua dichiarazione “Il Nagorno Karabakh è Armenia. Punto”, la minaccia da parte del ministro di difesa armeno “una nuova guerra per nuovi territori”, le provocazioni dello scorso luglio nel distretto azerbaigiano di Tovuz, territorio attraversato dalla strategica infrastruttura per il trasporto di idrocarburi dall’Azerbaigian ai mercati europei, in particolare l’Italia, corsi di addestramento al combattimento e al tiro con la partecipazione della moglie del primo ministro e i reinsediamenti illegali degli armeni dal Libano in corso nei territori occupati. Tutto ciò ha rappresentato un duro colpo al processo di negoziazione, rendendolo privo di significato e dando motivo di affermare che l’Armenia si era ritirata dai colloqui. Il primo ministro armeno ha posto 7 condizioni assurde per le negoziazioni, rifiutate dall’Azerbaigian, che invece ne pone una soltanto: il ritiro delle forze armate dell’Armenia dai territori dell’Azerbaigian, come previsto nelle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Inoltre, negli ultimi mesi l’Armenia ha aumentato in modo significativo l’importazione di armi e attrezzature militari e ha continuato ad espandere intensamente il proprio sistema di attacchi aerei. Il ministero della difesa dell’Armenia ha annunciato un piano per creare una milizia a livello nazionale composta da 100 mila “volontari”. Nei giorni scorsi era in corso il concentramento delle forze militari dell’Armenia vicino alla linea di contatto nei territori occupati e al confine di stato tra i due paesi. Tutto ciò perché l’Armenia si stava preparando ad una nuova Guerra, esplosa in queste ore.
L’Armenia ha cercato sempre ogni pretesto per accuse infondate verso l’Azerbaigian, denunciando addirittura un ipotetico attacco azerbaigiano all’obsoleta e pericolosa centrale nucleare di Metsamar. Ciò viene portato avanti per distogliere l’attenzione dalla pericolosità insita nella centrale stessa – più volte denunciata dal mio paese, e dalle minacce da parte dell’Armenia del 12 luglio e dei giorni seguenti al mio paese – in un’area strategica dal punto di vista geo-energetico, e alla centrale idroelettrica azerbaigiana di Mingachevir, la più grande del Caucaso Meridionale.
L’Azerbaigian ha ripetutamente avvertito la comunità internazionale che l’Armenia si stava preparando per un nuovo atto di aggressione e per la guerra. L’Azerbaigian ha più volte affermato che l’attacco militare in corso dell’Armenia contro l’Azerbaigian, e la presenza delle forze armate dell’Armenia nei territori occupati dell’Azerbaigian, rappresentano la principale minaccia alla pace e alla stabilità regionale. Sullo sfondo dei dibattiti generali della 75a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, in un momento in cui il mondo sta combattendo la pandemia Covid-19, la leadership politico-militare dell’Armenia è ricorsa a un’altra avventura e provocazione militare. Con queste azioni, la leadership dell’Armenia ha dimostrato ancora una volta mancanza di rispetto per il diritto internazionale, la Carta delle Nazioni Unite e la comunità internazionale.
Quello che l’Azerbaigian denuncia, in questi difficili momenti, è che l’Armenia sta colpendo ripetutamente obiettivi civili. Le sue azioni hanno portato all’uccisione di un’intera famiglia, composta di cinque persone, inclusi due bambini, nel villaggio di Gashalti (distretto di Naftalan) e dalla mattina del 28 settembre la città di Tartar è sotto il fuoco nemico. Si tratta di crimini di Guerra, e la comunità internazionale ha l’obbligo di condanna ed intervento.
La nostra posizione si basa sul diritto internazionale e sulla giustizia. Sono ormai 30 anni che il nostro popolo subisce una grande ingiustizia, l’aggressione militare da parte dell’Armenia. Le forze armate dell’Azerbaigian stanno attuando misure di controffensiva e ritorsione nel quadro del diritto all’autodifesa e nel pieno rispetto del diritto internazionale umanitario, al fine di prevenire ulteriori aggressioni militari dell’Armenia e garantire la sicurezza della popolazione civile, che vive vicino alla linea di contatto.
Le forze armate dell’Azerbaigian stanno combattendo sulla nostra terra per proteggere e difendere l’integrità territoriale dell’Azerbaigian sul suo territorio. L’Azerbaigian non ha nessun obiettivo nei territori di altri paesi. Invece, vorremmo chiedere, cosa fa il soldato armeno nella nostra terra? Cosa fa l’esercito dell’Armenia nella nostra terra? L’Armenia è un paese occupante, e questa occupazione deve avere fine. C’è solo un’unica via per la soluzione del conflitto. Le forze di occupazione dell’Armenia devono ritirarsi dai territori dell’Azerbaigian. L’integrità territoriale dell’Azerbaigian deve essere ripristinata. Non c’è un’altra soluzione. Come ha detto il Presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev “Noi siamo sulla strada della giustizia. Il Karabakh è Azerbaigian!”.