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Ecco perché alle elezioni “hanno sempre vinto tutti”. Il commento di Buoncristiani

Una volta tutti volevano saltare sul carro dei vincitori. Ora sono tutti vincitori. Sempre più spesso negli ultimi anni, il momento successivo alla chiusura delle urne precede di un attimo quello della comunicazione dei primi risultati provvisori. Ed è da questo “punto zero” che prende forma un fenomeno molto particolare. Ad ascoltare i diversi leader di partito, hanno sempre vinto. Tutti. Certo ognuno a modo loro.

C’è il Pd che ha vinto perché ha “tenuto”, la Lega che rivendica di aver ribadito la propria forza prendendo molti voti anche nelle regioni rosse, il governo che si considera confermato nella sua alleanza gialloverde, la Meloni che si è aggiudicata una presidenza di regione, il M5S che si attribuisce la vittoria referendaria, il movimento del “No” che ricorda come il 30% di voti sfavorevoli sia moltissimo se confrontato con il 95 per cento dei partiti schierati per il Sì. Si potrebbe continuare. Ed è successo in quest’ultima tornata, come in moltissime altre occasioni. Chiaro che il risultato di un’elezione può essere letto da molti punti di vista. Ma forse è notevole che interpretazioni anche molto diverse di uno stesso risultato abbiano tutte la stessa funzione…

Provando a giocare come in un esperimento scientifico potremmo allora divertirci a costruire un modello, una sorta di copione che tutte quelle particelle elementari che sono i partiti recitano. Seguendo le regole non scritte della politica nazionale. Il “punto zero” è rappresentato dal contatto con la realtà bruta. Ed è come uno scivolone nell’acqua gelida prima di tornare nel regno dello story telling. Della propria versione della storia. Prima c’erano gli annunci, le parole, gli slogan della campagna elettorale, ora ci sono dei numeri. Prima c’era la persuasione, quando si aprono le urne la realtà irrompe.

Sarebbe necessario digerirla, analizzarla. Fare dei lutti, dove questo è necessario. Ammettere delle perdite, segnalare degli errori. Ma questo in un sistema caotico, frammentato e complesso come è quello italiano non sempre è possibile. Non solo perché significherebbe magari lasciare spazio a qualcun altro, mollare la propria posizione (il famoso attaccamento alla poltrona non è solo in Parlamento ma anche nelle segreterie di partito). Con l’arrivo della rete è aumentata la fame di populismo, il bisogno di semplificare e piacere, convincere e sedurre. Dunque ecco un imperativo categorico. Circolare. Essere vincenti per conquistare popolarità e conquistare popolarità per vincere.

C’è solo quel momento tremendo dell’apertura delle urne, un effetto di realtà momentaneo e subito coperto. Basta dire che, in fondo, ho vinto pure io.



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