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Per fare una riforma 5 anni non bastano. Il caso delle Camere di commercio

A oltre 5 anni dall’approvazione della legge Madia, la riforma delle Camere di commercio italiane sembra finalmente giunta in dirittura d’arrivo. Da 105 che erano, le Camere sono scese a 82 e sono in programma nei prossimi giorni ulteriori accorpamenti che le avvicineranno ancora al numero di 60, obiettivo previsto dalla legge. Nonostante la riforma abbia avuto di recente anche il via libera della Corte Costituzionale, ci sono ancora alcune resistenze. Il “Decreto-legge Agosto”, che fissa il termine del 14 ottobre per la conclusione della riforma, ha visto la presentazione di alcuni emendamenti che puntano ad allungare i tempi, lasciando tutto come prima, nonostante il taglio delle poltrone sia stato un obiettivo dichiarato, e votato, da tutte le parti politiche a livello centrale.

Per capire meglio cosa pensassero di questa riforma le imprese delle province in cui le Camere di commercio si sono già accorpate e come stessero vivendo le trasformazioni legate alle fusioni tra Camere, Unioncamere ha chiesto alla Ipsos di Nando Pagnoncelli di effettuare un sondaggio. I risultati, frutto di oltre 400 interviste ad altrettante imprese, sono stati univoci. Tre imprese su quattro promuovono la riforma delle Camere di commercio, ritenendo che la nascita di strutture più grandi, attraverso l’accorpamento di due o più Camere di piccola dimensione, sia un fatto positivo.

Promuovendo i servizi camerali con un buon 8 come voto medio (con punte del 9-10 per il 29% degli imprenditori), addirittura il 92% degli imprenditori a conoscenza dell’accorpamento della propria Camera ritiene che la qualità dei servizi resi sia migliorata o sia rimasta invariata dopo l’accorpamento ed il 28% che la gamma dei servizi sia stata ampliata.

Gli imprenditori colgono anche un vantaggio in termini economici derivante dalle unioni tra Camere piccole: il 36% ha rilevato un aumento dei contributi erogati ed il 31% una crescita dei bandi ai quali le imprese possono partecipare.

Le fusioni tra Camere, che per 9 imprenditori su 10 non hanno comportato alcuna complicazione operativa che possa aver avuto effetti sulla vita quotidiana dell’impresa, non allontana le Camere dai territori e dai diversi sistemi produttivi locali. Mantenendo saldi la propria presenza e il presidio territoriale, la nuova Camera ha invece una maggiore capacità di interpretare e soddisfare le necessità delle imprese (è quanto ritiene il 35% delle imprese).

Sempre il 35% degli imprenditori sostiene poi che l’aumento “di taglia” permetta alle Camere accorpate di accrescere il proprio ruolo, assumendo un maggior peso nel confronto con gli altri soggetti che operano a supporto delle imprese (Comuni, Regioni, Associazioni di categoria ecc.). Insomma, la prova dei fatti sembra togliere dal campo tutte le preoccupazioni e le obiezioni giunte dalle Camere “accorpande”.

Insomma Camere più ampie e rappresentative sembrano tutelare meglio gli interessi delle imprese e dei territori, con servizi migliori, risparmi consistenti e investimenti in servizi innovativi e interventi promozionali.

E allora perché gli emendamenti presentati anche da parte di chi ha sostenuto negli anni la riforma Renzi/Madia? Timore di ridurre i posti negli organi delle Camere di commercio? Difesa di interessi ed esigenze locali? I mille campanilismi dell’Italia? Oltretutto senza accorpamenti alcune Camere commercio non chiuderanno i bilanci e dovranno ricorrere a risorse pubbliche o alla solidarietà delle altre Camere.

In conclusione, a distanza di 5 anni, affinché il sistema camerale possa costituire un esempio virtuoso di modernizzazione della Pa ed avere un assetto definitivo servirebbe davvero chiudere la riforma nel più breve tempo possibile.


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