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Biden o Trump? Ecco per chi voteranno i cattolici alle presidenziali Usa

Di Pietro Mattonai

Il cattolicesimo americano ha aderito così perfettamente al sostrato nazionale degli Stati Uniti che, oggi, ne rispecchia le fratture sociali, culturali e politiche. Nel 2014, Francis Rooney, ambasciatore della presidenza Obama presso la Santa Sede, lo aveva spiegato in poche parole: mentre gli Stati Uniti sono diventati più cattolici nel XXI secolo, il cattolicesimo si è americanizzato. Dunque, come la società statunitense non può essere descritta e delimitata con definizioni univoche e rassicuranti, allo stesso modo la sua comunità cattolica non può considerarsi come un gruppo omogeneo e indistinguibile in ogni sua parte.

Così fosse, non sarebbe possibile per la sorella Deirdre “Dede” Byrne, suora della comunità dei Little Workers of the Sacred Hearts of Jesus and Mary, lanciare la ricandidatura del presidente Donald Trump – presbiteriano – direttamente dalla convention del Partito repubblicano, accusando Joe Biden – cattolico – di far parte, insieme a Kamala Harris, del ticket più anti-life della storia americana.

Esistono linee di faglia lungo le quali si muovono, e si contrappongono, i cattolicesimi americani. La condanna di sorella Byrne a Biden, suo correligionario, ne mette in luce una tra le principali: le culture wars. Sulle questioni bioetiche e della morale familiare, il cattolicesimo statunitense non ha una posizione uniforme. I fedeli tradizionalisti e conservatori, spesso white Catholics, sostengono un’agenda anti-abortista e ostile ai matrimoni omosessuali; al contrario, i cattolici liberal del Partito democratico – come, appunto, l’ex vice di Obama – si schierano a favore della libertà decisionale delle donne e a favore del riconoscimento delle unioni civili. Biden, per il suo orientamento pro-choice, è stato tra l’altro etichettato su Twitter come “fake Catholic” da parte del vescovo di Providence, Thomas Tobin.

Le battaglie culturali, però, non sono l’unico punto sul quale la comunità cattolica americana si divide. Anzi: esse sono la manifestazione più concreta e immediata del rifiuto di parte dei fedeli statunitensi del messaggio sociale, economico e politico di papa Francesco, il primo pontefice del continente americano. Una contrapposizione totale che, non a caso, ha fatto parlare di un “problema americano” per il successore di Pietro, conscio di avere proprio nel cuore dell’America del nord il centro dell’opposizione al suo papato.

L’IDENTIKIT DEI CATTOLICI D’AMERICA

Gli Stati Uniti sono da tempo sottoposti a forti tensioni domestiche che, spesso, raggiungono il punto di rottura in maniera eclatante. Il movimento Black Lives Matter e le proteste contro i fenomeni di discriminazione razziale sono un esempio di questa tendenza che, inevitabilmente, incide anche sulle dinamiche della politica nazionale. La polarizzazione dei due schieramenti principali, il Partito democratico e il Partito repubblicano, per la verità già in corso da qualche decennio, è resa ancor più evidente dalle ultime vicende di politica interna, che hanno portato alla ribalta correnti radicali nei due partiti.

In questo contesto, il cattolicesimo americano ha seguito un percorso parallelo a quello del dibattito politico. Fortemente radicato nel contesto socioculturale degli Stati Uniti, esso si è ritrovato a replicarne le spaccature. Da un lato, il cattolicesimo conservatore, perlopiù composto dai cosiddetti white Catholics di origine anglo-europea e residenti nella macroregione del Midwest dove, non a caso, si concentra la maggioranza dei cittadini statunitense di origine tedesca. Origine condivisa anche da Trump, nipote di Friedrich Trumpf, imprenditore della Baviera cattolica emigrato in America e naturalizzato statunitense grazie all’elisione della effe. Dall’altro, invece, il cattolicesimo liberale, più aperto sulle questioni dogmatiche, geograficamente collocato sulle coste – in particolare quella californiana – e più soggetto a un processo di melting pot religioso di inculturazione.

IL MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO OLTREOCEANO

Per il primo, che ha sviluppato una corrispondenza di amorosi sensi con l’evangelicalismo di stampo calvinista, il messaggio sociale, economico e politico di papa Francesco è irricevibile, in quanto contrario all’idea stessa di Stati Uniti d’America. Le questioni bioetiche e sessuali non sono al centro del pontificato bergogliano, più sensibile alla denuncia delle diseguaglianze economiche, alla salvaguardia dell’ambiente e alla questione migratoria. Temi che, a loro volta, cozzano con le certezze mercatistiche, liberiste e nazionalistiche del cattolicesimo conservatore americano: la predilezione evangelica per i poveri di Bergoglio non si concilia con l’ethos capitalistico statunitense.

In più, Francesco si fa promotore di una narrazione che supera lo steccato occidentale, conscio della fine dell’età cristiana e fautore dell’uscita della Chiesa verso il mondo. Un intento, questo, che contraddice la convinzione etno-religiosa del tradizionalismo cattolico statunitense, che eleva il proprio Paese a “modello di carità cristiana”, come ebbe a scrivere l’avvocato puritano John Winthrop prima di imbarcarsi per l’America, mutuando le parole del discorso della montagna fatto da Gesù nel Vangelo.

PER CHI VOTERANNO I CATTOLICI

Queste premesse non fanno immaginare un alto tasso di volatilità del voto dei cattolici a novembre. Presumibilmente, chi ha votato Trump per la sua posizione pro-life e conservatrice lo farà anche tra un paio di mesi. Stesso discorso può essere fatto, al contrario, per quei cattolici – la minoranza – che quattro anni fa hanno preferito votare per Hillary Clinton.

Del resto, anche la United States Conference of Catholich Bishops (Usccb), la Conferenza episcopale statunitense, con un documento pubblicato in vista delle presidenziali, non ha espresso alcuna linea guida. In poche parole, gli elettori cattolici potranno votare qualunque candidato, anche promotore di “intrinsically evil act” come l’aborto, l’eutanasia, discriminazioni razziali o trattamenti inumani dei più poveri, purché nelle loro intenzioni non ci sia il sostegno personale a tali politiche. Insomma: né Biden, né Trump sono stati in alcun modo squalificati dai vescovi statunitensi. La domanda su quale sarà il candidato preferito dai cattolici, dunque, resta in sospeso.

(Articolo pubblicato su Affariinternazionali)



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