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Cattolici, evangelici e non solo. Merlini (Iai) svela la sfida religiosa di Trump e Biden

Di Cesare Merlini

Il segretario di Stato americano Mike Pompeo visita Roma e il Vaticano poco più di un mese prima delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. A differenza di quanto anticipato qualche giorno fa, il programma non comprende un incontro con papa Francesco, ma Pompeo ha già chiarito in un articolo articolo su First Things, rivista dei cattolici conservatori di oltre-Atlantico, i temi che toccherà durante la sua tappe nella Santa Sede: l’inopportunità che il Vaticano rinnovi l’intesa con la Cina sulla nomina dei vescovi in quel Paese.

Qualche settimana fa a Washington è stato firmato l’”Accordo di Abramo” per il riconoscimento di Israele da parte degli Emirati Arabi e del Bahrein. L’evento segue di qualche mese il trasferimento a Gerusalemme dell’ambasciata Usa nello Stato ebraico.

Non sorprende la volontà di Donald Trump di consolidare il sostegno di gruppi religiosi, a cominciare da quello che conta di più: i cristiani evangelici (bianchi). Si ricordi la sua foto con la Bibbia in mano davanti alla St. John’s Episcopal Church, dirimpetto alla Casa Bianca, dopo che la polizia aveva disperso i Black Lives Matter; o il suo essere stato il primo presidente in carica ad aderire alla March for Life anti-aborto.

Circa un quarto degli americani sono evangelici bianchi. Otto su dieci votarono per Trump nel 2016. E lo rifaranno quest’anno, anche se il consenso per la sua gestione è un po’ sceso. Il presidente uscente apprezza. Recentemente ha detto loro che il suo rivale “segue un’agenda di estrema sinistra, vuole togliervi le vostre pistole… è contro la Bibbia, la religione… è contro Dio!”.

Joe Biden è cattolico e dovrebbe poter contare sul sostegno dei cattolici, quale che sia il colore della pelle, come ai tempi di Kennedy. Solo che oggi i cattolici bianchi, quelli che leggono First Things, sono conservatori come i cugini evangelici, dunque molto critici di papa Francesco. La Conferenza episcopale americana non ha dato indicazioni di voto e i fedeli saranno in gran parte con Trump, come quattro anni fa.

Gli ebrei americani invece voteranno in maggioranza per Biden, ma forse non con il margine riservato a Hillary Clinton, anche per l’impatto dei suddetti eventi riguardanti Israele e per l’influenza dei circoli ortodossi e dell’Aipac, uno di più ricchi e potenti gruppi di pressione nel Paese.

Ritorno della religione?

È il caso americano sintomatico di una crescente importanza della religione nella politica, magari anche internazionale? Il passaggio generazionale dall’ultima parte del secolo scorso all’inizio dell’attuale ha dato questa sensazione, da qui la scuola del “ritorno della religione“. Vi contribuirono all’inizio il declino dell’ateismo scientifico dei regimi comunisti caduti, il crescente fanatismo hindu contro i musulmani in India e il sorgere di un Islam in cerca di una sua identità politica, culminato nell’attacco alle Torri Gemelle di New York – quelli contro target europei a seguire.

E ha colpito in seguito la contemporaneità dell’abbandono di radici secolari e tolleranti in tanti Paesi. Dall’India di Narendra Modi che volta le spalle all’eredità di Gandhi e di Nehru, alla (seconda) Turchia di Recep Tayyip Erdoğan che sostituisce Santa Sofia con la Grande Moschea dimenticando Atatürk, alla caratterizzazione di Israele come Stato ebraico e biblico (anche territorialmente) lontano dalle radici laiche del sionismo, e alla prossimità fra l’ex-agente Kgb Vladimir Putin e il patriarca ortodosso di Mosca. O, per venire più vicino a noi, le cristiane Polonia di Jaroslaw Kaczynski e Ungheria di Viktor Orbán, che gettano nella spazzatura il portato storico di coloro che avevano resistito al giogo sovietico.

L’America tuttavia rimaneva come il caso più eclatante di nazione ricca con il più alto tasso di religiosità, misurato in termini di importanza del divino nella vita di ciascuno. In qualche modo l’influenza emergente degli evangelici si era già vista con l’elezione del pio George W. Bush alla presidenza e annesse guerre in Afganistan e Iraq – influenza non limitata a quel Paese, come dimostrerà l’avvento di Jair Bolsonaro in Brasile.

O un mondo secolarizzato?

Eppure, malgrado il trend apparente di credi in crescita, due correlazioni si sono venute manifestando più o meno nello stesso periodo: il legame dell’individuo con una fede diminuiva quasi dappertutto con la crescita del Pil pro-capite; la religiosità era più debole fra i giovani che fra gli anziani.

I dati relativi all’ultimo decennio le hanno confermate, indicando una tendenza diffusa delle società verso la secolarizzazione. A cominciare dai Paesi ad alto reddito, asiatici ed europei occidentali, fra cui l’Italia. Ma non a finire con essi, il fenomeno essendo diffuso e crescente in gran parte delle nazioni, anche se in misura minore (ma non contraria) in quelle a maggioranza musulmana.

Tuttavia, visto che siamo partiti dagli Stati Uniti e che questo era il Paese tendenzialmente più religioso, è rilevante che proprio lì si sia verificato il maggior calo dell’attaccamento alla divinità – oltre che dimezzato negli ultimi dodici anni (gli otto di Obama, ma anche i quattro di Trump).

Quali le principali spinte a questo processo di secolarizzazione mondiale, o quasi, che non ha precedenti nella storia? Di nuovo due: le società moderne si stanno distaccando dal tipo di norme sessuali e di genere da sempre instillate nei fedeli da tutte le principali religioni; la scienza e la tecnologia inducono il declino del mistero, pur restando quello dell’Aldilà, grande stimolo alla fede. La pandemia in corso potrebbe essere indicativa: la voci che l’attribuiscono a un castigo di Dio e si rivolgono al suo aiuto per liberarcene sono state marginali.

(Articolo pubblicato su Affarinternazionali)

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