Dopo l’incidente diplomatico creato dall’articolo del Segretario di Stato americano Michael Pompeo pubblicato su “First Things”, gli esiti della sua visita in Vaticano sono diventati incerti.
Fino a pochi giorni fa si pensava che Pompeo avrebbe incontrato papa Francesco e il cardinal Pietro Parolin. Ora sembra certo che non vedrà il papa e non si sa se incontrerà sia Parolin sia Gallagher o solo quest’ultimo che, formalmente, è il suo omologo.
Finora, all’uscita del tutto inusuale di Pompeo, ha fatto riscontro da parte vaticana il silenzio. Ma è un silenzio eloquente. Non corrisponde solo a un’irritazione profonda per una pesante interferenza, al limite dell’intimidazione. Ma anche a una forte determinazione a proseguire sulla strada intrapresa nei rapporti con la Cina.
Da tempo tra Stati Uniti e Santa Sede è in corso un franco confronto, come si dice in linguaggio diplomatico, sul dialogo aperto tra la quest’ultima e la Repubblica popolare cinese (non con il partito comunista cinese come ha scritto grossolanamente Pompeo).
Tale dialogo, infatti, urta contro le linee di fondo della nuova “Guerra fredda” americana contro la Cina e appare moto fastidioso mentre si moltiplicano le pressioni trumpiane sugli alleati perché si assumano pienamente una politica anticinese.
Ma l’iniziativa di Pompeo ha fatto compiere un salto di qualità a tale divergenza: per i modi e i toni da lui usati, è apparsa infatti un tentativo di imporre alla S. Sede scelte volute dagli americani. È possibile che non fosse questa l’intenzione iniziale e che l’uscita di Pompeo sia riconducibile a una campagna elettorale americana sempre più aspra. Ma, sul piano politico diplomatico, la sua iniziativa è apparsa un atto politico teso a condizionare la libertà del papa e l’indipendenza della S. Sede.
Qualcosa cioè che sia l’uno sia l’altra non solo non vogliono ma non possono accettare: che credibilità avrebbe l’autorità del Sommo pontefice sui cattolici di tante nazionalità diverse se apparisse subordinata al potere di una singola potenza? Ne andrebbe di mezzo un bene irrinunciabile per la Chiesa cattolica: la sua unità.
Da parte vaticana non ci sono intenzioni ostili nei confronti degli Stati Uniti. Ma l’articolo di Pompeo potrebbe rivelarsi un boomerang che forse il suo autore non aveva previsto. A Pechino, non a caso, hanno moltiplicato le espressioni di apprezzamento per il comportamento della S. Sede negli ultimi due anni, cui si aggiunge una profonda soddisfazione per il videomessaggio di Papa Francesco all’Onu che ha rilanciato con forza la prospettiva del multilateralismo.
Ogni anno, Pompeo viene a Roma per un convegno sulla libertà religiosa che, guarda caso, si tiene sempre in prossimità del 1 ottobre, giorno anniversario della proclamazione della Repubblica popolare cinese. Non ci sarebbe da stupirsi se questa volta, in prossimità del 1 ottobre, S. Sede e Repubblica popolare cinese rinnovassero l’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi e rafforzassero, con atti concreti, la loro collaborazione.