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Non c’è competizione globale per l’Italia senza cultura. Parola del prof. Diodato

Di Emidio Diodato

Nelle colline vicino Fiesole, ancora giovane fanciullo incantato dalla bellezza del luogo, un po’ calandrino che cerca la pietra che rende invisibili, incontrai per la prima volta Joseph Nye. Parlava di soft power. Due studenti decisamente meno timidi di me lo interruppero: il primo, un olandese, gli disse che ci stava vendendo come nuova un’idea così vecchia che quel seminario era la migliore dimostrazione dell’esercizio del soft power accademico; il secondo, un tedesco, meno ironico ma più pungente, gli chiese quale fosse la differenza tra la nozione gramsciana di egemonia e quella di soft power. Tra lo stupore di tutti – era presente anche il grande e compianto storico Ennio Di Nolfo – Nye rispose che in effetti egli stava solo rendendo più comprensibile a un pubblico americano meno edotto l’intuizione del filosofo italiano. Il potere delle idee o della cultura non si somma a quello del denaro e della forza, ma ne costituisce parte integrante come un software per un hardware.

Il DIBATTITO ITALIANO (ANCORA APERTO)

Da allora negli ultimi venti anni si è molto discusso di questo tema, con particolare riferimento alle politiche estere e alla diplomazia culturale. Anche Formiche ne ha discusso di recente, nel commentare del Soft Power Club di Francesco Rutelli. Guardando a questo dibattito si possono individuare una serie di punti salienti.
Da un lato vi è il continuo lamento della mancanza di consapevolezza da parte dell’Italia del suo sterminato potenziale culturale. Dall’altra la denuncia sempre pronta contro i cantori del soft power italiano, mancanti di realpolitik.

L’INIZIATIVA DELL’ALTO RAPPRESENTANTE DELL’UE

Lo stesso dibattitto ha segnato l’iniziativa di Federica Mogherini, Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza della Commissione europea, quando il 31 marzo 2016 lanciò una piattaforma europea di diplomazia culturale per migliorare la visibilità e la comprensione dell’Unione attraverso il dialogo e l’impegno interculturali. Per esportare un’immagine culturale europea all’estero con una voce unica e coerente, l’Unione avrebbe dovuto prima affrontare la sua “unità nella diversità” delle culture nazionali senza minacciare le identità dei singoli Stati membri. Ciò avrebbe consentito non solo di stabilire condizioni favorevoli alle politiche di Bruxelles, ma anche di mettere in campo uno strumento comunitario per contrastare le minacce alla sicurezza non tradizionali: terrorismo, insicurezza energetica, ambiguità dell’identità europea di fronte al soft power di altre potenze.

LA RIFLESSIONE DELL’AMBASCIATORE BELLONI

Tra le riflessioni svolte da allora sul soft power dell’Italia nel quadro europeo emerge quella di Elisabetta Belloni, impegnata da diversi anni nel promuovere una riflessione sul nesso tra competizione globale e interesse nazionale, per ridefinire strategie e alleanze, anche alla luce delle profonde trasformazioni che sta subendo il multilateralismo tradizionalmente inteso. L’ambasciatore Belloni ha ribadito questo concetto in occasione della lectio magistralis che ha tenuto per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università per Stranieri di Perugia, uno dei luoghi più evocativi dell’idea di una diplomazia culturale italiana.

NUOVI SCENARI PER IL MULTILATERALISMO

Gli anni della partecipazione italiana alle missioni militari all’estero, quelli in cui l’Italia era coinvolta in larga parte per i suoi legami strategici con gli Stati Uniti e per il ruolo egemonico del Paese di Nye, sono ormai alle nostre spalle. Il trasferimento di competenze in capo alla Farnesina su commercio internazionale e promozione del Made in Italy apre nuovi scenari per il multilateralismo, soprattutto nel quadro europeo e dei finanziamenti comunitari post-Covid. In questa cornice si colloca l’accordo con la Cina e soprattutto il recente Patto per l’export. Ma se mutano i due assi portanti dell’hard power, quello militare e quello economico, allora di conseguenza non mutano anche le esigenze del soft power? E come ripensarle senza coniugare il potenziale culturale nazionale con la lingua di Dante?

L’ITALIA, PER COMPETERE A LIVELLO GLOBALE

L’Italia è chiamata a ripensare la propria collocazione internazionale nel quadro europeo. Per farlo ha bisogno di definire una nuova politica estera culturale che funzioni come una piattaforma in termini di esportazione di cultura e valore, facendo pesare le proprie capacità per reggere la competizione globale. I sistemi sociali così come gli individui sono più disposti alla fiducia reciproca se possono fare affidamento su una sicurezza interiore.

PARTIRE DALL’IDENTITÀ NAZIONALE

Se è vero che maggiore è la sicurezza di sé, maggiore è la disponibilità alla fiducia, allora il rafforzamento dell’identità nazionale sarebbe decisivo per stabilire nuove alleanze e anche per la collaborazione internazionale attraverso il dialogo e l’impegno interculturali. A tal fine è imprescindibile coniugare lingua e cultura nazionale attraverso la promozione del sistema-Paese. Non si tratta semplicemente di sostenere l’insegnamento dell’italiano all’estero, ma di promuovere una cultura nazionale che coinvolga il mondo economico e i diversi sistemi sociali, a partire da quello universitario e dell’altra formazione.

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