L’urna ha parlato, il taglio dei parlamentari raccoglie forse meno consenso popolare di quanto ci si aspettasse ma il risultato è netto: vince il sì con il 69,6% dei voti, ai seggi si è recato il 53,8% dell’elettorato. Il fronte del no viene quindi più che doppiato e, stando ai dati riportati dal Radar SWG, a condurlo come da programma sono stati gli elettori del Partito Democratico, anche se i leghisti hanno seguito a ruota nonostante l’indicazione per il sì di Salvini. Il sì conquista tutti indipendentemente dall’appartenenza politica: il 90,1% dei 5 Stelle hanno votato a favore della riforma costituzionale, così come il 71,6% degli elettori di Fratelli d’Italia, il 67,7% di quelli della Lega e il 57,3% di quelli del Pd. Un voto che ha spaccato quasi equamente al proprio interno i giovani e i laureati, stravincendo invece tra gli operai e nei ceti medio-bassi.
Italia al voto non solo per il referendum sul taglio dei parlamentari, sono sette le Regioni chiamate a scegliere di nuovo giunta e presidente. Ogni territorio è a sé e la Campania parla di un Vincenzo De Luca che trionfa sul candidato del centrodestra Caldoro con il 69,4% dei consensi, pescando a piene mani da chi alle ultime elezioni europee si era astenuto ma accaparrandosi anche molte preferenze da chi aveva votato M5s o partiti dello schieramento politico opposto. Una situazione simile in Liguria per Toti, che guadagna il 56,1% e lo fa anche grazie all’elettorato di sinistra: un terzo dei suoi voti proviene da elettori che non avevano votato centrodestra alle europee. Anche la riconferma di Emiliano in Puglia supera i confini del centrosinistra, mentre la Toscana si comporta da roccaforte rossa scegliendo Giani davanti ad un centrodestra compatto che aveva cercato di premiare Susanna Ceccardi: il candidato del Pd ha confermato due terzi degli elettori e guadagnato il 19% dei consensi dagli astenuti, la leghista è stata sostenuta quasi per l’80% dal centrodestra unito. Pesca molto di più dagli astenuti Mangialardi nelle Marche, ma qui non basta perché il fronte di Fdi, Lega e Fi porta alla vittoria Acquaroli come non è riuscito a fare con Ceccardi. Quasi un plebiscito la riconferma di Zaia, un 76,8% preannunciato che arriva per un terzo da astenuti e per il resto dal centrodestra.
Sulle scelte dei nuovi presidenti di Regione pesano considerazioni diverse a seconda della situazione territoriale, ma la riconferma dei presidenti uscenti permette di delineare un quadro chiaro: molto importante è stata infatti la gestione della pandemia nei mesi precedenti il voto. Da questo punto di vista quello maggiormente premiato è stato Zaia, che secondo l’88% degli elettori ha tenuto una linea positiva, seguito da De Luca all’80% e Toti al 70%; più in basso Emiliano da questo punto di vista – solo il 54% degli intervistati gli attribuisce un buon lavoro – sulla cui riconferma ha pesato anche la competenza e l’esperienza nell’amministrazione. Acquaroli è stato premiato prevalentemente perché sostenuto da Fratelli d’Italia, che quindi raccoglie un ampio consenso nelle Marche, così come la scelta di Giani in Toscana è dovuta più che altro per l’appartenenza al Pd.
Dal punto di vista dei partiti maggiori la sconfitta alle regionali appartiene soprattutto al Movimento 5 Stelle, che non vede eletto nessuno dei candidati sostenuti e che soprattutto vede ridursi sensibilmente la base elettorale fedele: in Campania si è passati dal 33,9% delle europee al 10%, in Liguria dal 16,5% al 7,8%, in Puglia dal 26,3% al 9,9%. Cali dovuti principalmente all’ottica del voto utile e dell’opposizione a candidature di destra non gradite. Il Pd attinge dagli astenuti nelle Regioni in cui cresce rispetto alle preferenze delle europee e lascia voti sempre alla frangia di chi non si reca ai seggi in quelle in cui invece cala, Fdi sperimenta ancora una volta una crescita e lo fa soprattutto a spese degli altri partiti di centrodestra. La Lega di converso perde consensi un po’ ovunque pur rimanendo sempre su soglie alte, tranne che in Veneto dove scende al 16,9%: qui la Lista Zaia ha monopolizzato il voto arrivando al 44,6% da sola, un segnale importante che premia il candidato prima ancora che il partito.