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Dico Sì per riformare la democrazia. La versione di Invidia (M5S)

Ogni parlamentare conosce bene una cosa. La frustrazione di non riuscire a portare il cambiamento che avrebbe desiderato, di non materializzare quel senso di missione che lo ha motivato a candidarsi. Col tempo, alcuni colleghi, sedutisi sui reni dell’impotenza, arrivano purtroppo a vivere il ruolo come uno status e come uno stile di vita. Forse un po’ come quegli impiegati statali assegnati a mansioni in uffici in cui non ce n’è bisogno. La simile domanda per il Parlamento è: davvero non ce n’è bisogno?

Va detto che molte delle argomentazioni pro/contro il taglio sono rispettabili e che sono comprensibili alcune preoccupazioni per il No. Allo stesso modo, non sono affezionato all’argomentazione del risparmio di soldi pubblici, né vi è garanzia che il taglio lasci fuori proprio i malati cronici di assenteismo e i “poltronari”.

Dunque malgrado le normali polarizzazioni che accompagnano ogni referendum, non santifico né demonizzo il taglio.

Sono però altre le argomentazioni, certamente meno sexy, su cui il Sì dovrebbe farsi forza:
la riduzione dei parlamentari non è rivoluzionaria di per sé, ma è rivoluzionaria perché sancisce per la prima volta una volontà politica abbastanza forte da aprire una fase di riforme istituzionali e da superare l’autoconservazione.

Questo è un Paese che fatica a cambiare perché il decision making nella politica è calcificato, soprattutto in Parlamento.

Il taglio rappresenta quindi il passepartout per le riforme di sostanza che sono in primis la modifica dei regolamenti parlamentari, il vero nodo che ha bloccato per decenni il potenziale del Parlamento e quindi del Paese stesso. È forse il più grande underdog dei problemi del Paese.

A titolo personale, ritengo che le principali riforme del regolamento che dovrebbero fare seguito al taglio siano l’eliminazione degli Ordini del giorno (strumento “di sfogo” delle iniziative parlamentari ma anche di propaganda di risultati inesistenti, costituiscono circa il 30% delle votazioni in Aula. Incredibile!), il nobilitare la sede redigente e legislativa (cioè, per farla breve, dare più spazio ai lavori in Commissione rispetto a quelli d’Aula), la riduzione del numero delle Commissioni permanenti (portandole da 14 a circa 11, su questo avevo depositato una proposta).

Occorrerebbe anche un’azione informale più coscienziosa da parte dei presidenti di commissione sulle infinite (e spesso poco fertili) audizioni e da parte del presidente della Camera sui tempi di intervento in Aula.

Ad oggi le commissioni non hanno quasi mai portato all’approvazione in aula un singolo atto significativo. Questo gravissimo problema non si dissolverà con la mera riduzione del numero dei parlamentari, ma solo se essa sarà accompagnata dalle riforme (tra cui quelle di cui sopra). Se accadrà ciò (e la maggioranza ha sicuramente questa volontà), avremo un Parlamento finalmente funzionante in cui ogni parlamentare sarà investito di maggiori responsabilità e avrà un peso specifico alto.

Il 21 settembre quindi non sancirà la fine della sfida ma il suo vero inizio: con la vittoria del Sì, dal 22 settembre si aprirà la questione più importante, quella per rendere le decisioni della politica italiana veloci ed efficienti e compiere così la promessa di una vera Repubblica parlamentare.

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