Non ci sono molte sorprese nel voto degli italiani. I risultati parziali e gli exit poll sembrano infatti rispettare un po’ tutte le previsioni della vigilia: il “taglio” dei parlamentari è passato, ma il sì ha vinto e non stravinto; De Luca, Emiliano, Toti e Zaia (quest’ultimo con percentuale “bulgara”) sono stati riconfermati alla guida delle loro rispettive regioni; il meloniano Acquaroli ha conquistato le Marche; la Toscana, come già l’Emilia Romagna, si è dimostrata non ancora espugnabile, anche se un sistema di potere consolidato sembra essere giunto al capolinea.
Che significa tutto questo in un’ottica sistemica e anche di lungo periodo, ovviamente da approfondire ad urne chiuse e a freddo? Prima di tutto, che la spinta “antipolitica” non è venuta meno ma si è precisata: gli italiani non sono contro le classi dirigenti in generale, ma solo contro quelle che non sanno governare o “tradiscono” gli elettori. A maggior ragione in questo momento di crisi. C’è una costante nel voto negli ultimi tempi: la razionalità, o se preferite la ragionevolezza.
Lo so che l’opinione mainstream nel mondo culturale, quella che fa degli italiani delle “pecore” pronte a seguire l’incantatore di turno, afferma a gran voce il contrario, ma, per principio, io amo fidarmi più dell’intuito e del buon senso della gente comune, cioè della stragrande maggioranza dei votanti, che non delle dotte analisi di intellettuali e analisti. Detto in soldoni, il messaggio che gli elettori hanno mandato negli ultimi anni, favorendo ora Renzi (quello della “rottamazione”) ora i grillini (quelli del “Vaffa” più o meno corretto), era di protesta per una classe dirigente non ritenuta all’altezza. Un messaggio che resta valido ancora oggi, ma che si unisce ad una voglia di concretezza, proposta, serietà.
Salvini è stato premiato perché ha colto un problema reale, quello del governo dell’immigrazione, che la sinistra ha generalmente sottovalutato o ridotto ideologicamente a un problema di razzismo (un male di cui per fortuna siamo come popolo immuni).
Ma veniamo all’oggi. Intanto, il primo dato che viene fuori chiaro, dal referendum, è che la spinta “antipolitica” è appunto meno virulenta ma anche più concreta: qualche anno fa ad un referendum che, in modo secco come questo, proponesse la decurtazione dei deputati avrebbero risposto in massa nove italiani su dieci. I grillini potranno ora cantar vittoria, ma il fatto che hanno sfondato più in Parlamento (ove nell’ultima votazione i favorevoli superarono appunto il 90%) che nel Paese la dice lunga, e probabilmente questa vittoria è il loro canto del cigno.
Il Pd rimane in mezzo a un guado: è riuscito a non perdere la Toscana, e già questo è un risultato, ma i nodi irrisolti restano tanti. Quanto a De Luca, è vero che in Campania è riuscito a vincere con facilità, ma è persona molto allergica alla politica nazionale, anche e soprattutto del suo partito, e gioca da sempre una partita tutta sua, non immune dall’avere introiettato dosi omeopatiche di “populismo”.
In Campania come in Puglia la sfida era fra governatori già sperimentati: gli sfidanti, il bravo Caldoro così come Fitto sono già stati governatori delle loro regioni in passato. Questo forse li ha svantaggiati: come sfidante funziona forse più un volto nuovo, come appunto quello di Acquaroli che conquista una regione da sempre rossa. Le roccaforti della sinistra (dopo la perdita dell’Umbria) restano così solo l’Emilia Romagna e la Toscana, anche se aver scelto un candidato non proprio forte come Giani ha avuto qualche conseguenza sotto l’Arno. E la Ceccardi ha trasmesso comunque un’immagine di concretezza e serietà.
In sostanza, nessuno può dire di aver vinto, anche se nei commenti i leader dei vari partiti diranno per sé il contrario. La destra tiene, nonostante il cul de sac politico in cui a livello nazionale si trova. Il messaggio degli italiani è chiaro: prima di dare le chiavi a Salvini & co. gli elettori chiedono loro di precisare meglio il programma. E di farlo lungo una direttrice che dalle urne esce ben chiara. Soprattutto, si tratta di articolare meglio una narrazione, rendendola più adatta ai tempi. Se cambia quella del tuo avversario, la tua non può restare immobile: è la regola numero uno della politica. Almeno di quella non ideologica.