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Export della Difesa, cosa manca al G2G italiano. Lo studio Iai

L’introduzione degli accordi governo-governo (o G2G) è stata senza dubbio la grande novità del 2019 per il mondo della Difesa italiana, strumento essenziale per sostenere l’export del comparto in mercati sempre più competitivi. Arrivata alla fine dell’anno (nel decreto fiscale), la piccola modifica al Codice dell’ordinamento militare ha permesso al Paese di recuperare terreno su partner e competitor, almeno sulla carta. Difatti, c’è ancora da lavorare per rendere effettiva ed efficace la riforma, sia sul piano normativo, sia su quello operativo. Tra il segretariato generale della Difesa e un ruolo più centrale per Palazzo Chigi, due sono le strade percorribili per attuare il G2G italiano. Le spiega un recente studio dell’Istituto affari internazionali (Iai), a cura di Alessandro Marrone, Michele Nones ed Ester Sabatino.

I VANTAGGI DEL G2G

“Questi accordi presentano vantaggi sia per lo stato acquirente che per il venditore e spesso sono determinanti per la costruzione e il consolidamento di una rete di alleanze e partenariati con gli stati esteri. Grazie al sistema G2G il Paese acquirente riceve garanzie governative sulla conduzione del contratto – che può essere più vantaggioso rispetto ad un accordo di vendita stipulato direttamente con l’azienda venditrice. Da contro, lo stato venditore riesce a supportare meglio l’export delle imprese nazionali del settore”. Non è un caso che la riforma entrata nell’ambito della Legge di bilancio dello scorso anno sul G2G sia arrivata dopo tante richieste dal mondo industriale. Eppure, non ci sono solo i rapporti commerciali: “L’interscambio in un settore così importante come la difesa contribuisce fortemente alla costruzione di una rete di alleanze e partenariati ed è quindi un moltiplicatore di influenza ed un sostegno significativo per la politica estera e di difesa”.

IL VALORE STRATEGICO

E così, spiegano Marrone e Sabatino in un articolo su AffarInternazionali, “avere un sistema G2G pienamente operativo non significa solo andare maggiormente incontro alle esigenze degli Stati terzi; per l’Italia si tratta da un lato di promuovere le eccellenze nazionali all’estero sostenendone l’export, dall’altro di avere l’opportunità di instaurare e rafforzare cooperazioni strategiche e partenariati con il Paese acquirente”. C’è poi il fattore della programmazione: “Questi accordi – spiegano i ricercatori – permettono all’industria di concentrarsi su programmi di maggiore durata temporale, consentendo di fidelizzare i mercati di sbocco e di investire maggiormente nelle fasi successive alla produzione del prodotto, grazie alla certezza della richiesta di aggiornamento e ammodernamento dei sistemi venduti, mantenendo attiva, di conseguenza, la filiera industriale”.

LA SITUAZIONE DEI PARTNER (O COMPETITOR?)

Sembrano averlo capito da tempo i nostri partner (e competitor) internazionali. “Stati Uniti, Francia e Regno Unito che hanno introdotto da anni questo e altri sistemi ad esso ancillari a sostegno delle proprie industrie, come la possibilità di concessione di linee di credito volte all’acquisizione di sistemi d’arma dallo stesso Paese, o la possibilità di giungere a veri e propri partenariati strategici di durata pluridecennale, che necessariamente influenzano le relazioni bilaterali tra acquirente e venditore”. Più recente l’adozione di simili meccanismi da parte della Spagna, mentre un caso a parte è rappresentato dalla Germania: “Nonostante l’assenza di un sistema G2G e una politica nazionale restrittiva sull’esportazione di sistemi d’arma e beni a uso duale, Berlino si posiziona molto bene nel mercato mondiale”. Ciò può essere ricondotto, si legge nello studio, “alla efficienza e alla competitività complessiva del sistema industriale, soprattutto nelle due maggiori aree di eccellenza, ovvero i mezzi terrestri e i sottomarini”.

LA SITUAZIONE ITALIANA

Di fronte a questo quadro, anche il nostro Paese si è mosso per dotarsi di un meccanismo di G2G. Lo ha fatto modificando l’articolo 537- ter del Codice dell’ordinamento militare. In sostanza, si è riformulato l’articolo introducendo la possibilità di svolgere “attività contrattuale”, esclusa dalle precedenti formulazioni dell’articolo, volta a “soddisfare le esigenze di approvvigionamento di altri Stati”, ma senza assunzione di garanzie finanziarie da parte del governo italiano. Ora, spiega lo Iai, “nonostante la recente introduzione dell’articolo 537-ter, l’attuale quadro legislativo presenta diverse criticità”. Prima di tutto, “non si prevede, al momento, un’adeguata procedura di approvazione governativa atta a stabilire quali siano i Paesi con i quali l’Italia può stipulare accordi G2G, nonostante i possibili risvolti politici”.

SE MANCA L’ESPERIENZA

Inoltre, “non viene prevista alcuna misura esplicita per facilitare la movimentazione degli equipaggiamenti oggetto di accordo intergovernativo, con il rischio di avere tempistiche di autorizzazione all’export troppo lunghe”. Poi, c’è la necessità di “modificare il regolamento n. 104 del 6 maggio 2015, che si basa sulla precedente formulazione dell’articolo 537”, in particolare sulle attività che il ministero della Difesa dovrà compiere e tramite quali articolari. Agli aspetti normativi si aggiungono quelle operativi: “dal punto di vista operativo, ulteriori possibili criticità attengono alla mancanza di una significativa esperienza nella gestione di accordi G2G, di fatto impedendo al momento la verifica dell’efficacia della soluzione prevista dal regolamento”.

UN’IPOTESI PER LE ESIGENZE IMMEDIATE

Per superare tali complessità, lo Iai propone due possibili soluzioni. Entrambe “vedono con un ruolo centrale del segretariato generale della Difesa nella fase preparatoria e in quella operativa, e con lo stato estero come attore preponderante nella fase operativa”. La prima ipotesi è “temporanea e da attuare nel breve periodo per far fronte alle esigenze immediate”. Prevede la modifica dell’attuale regolamento affinché SegreDifesa abbia responsabilità di tutte le azioni della fase preparatoria. “Il governo, sulla base dell’attività di coordinamento svolto dalla presidenza del Consiglio dei Ministri, dovrebbe essere coinvolto nel riconoscimento della strategicità dell’accordo che rende necessario il coinvolgimento del sistemaPaese in un orizzonte temporale medio-lungo”. In tale ipotesi, si dovrebbe consentire al segretario “di definire le procedure e modalità giudicate più consone per lo svolgimento delle attività assegnate, nel rispetto della normativa nazionale ed europea”.

UN RUOLO PER PALAZZO CHIGI

La seconda ipotesi presenta “un orizzonte temporale di perlomeno un anno e mezzo, passa attraverso un intervento legislativo e un successivo adeguamento regolamentare” al fine di dotare il Paese di un “sistema nazionale G2G completo e più efficace”. In sostanza, “il riconoscimento da parte del governo della strategicità dell’accordo G2G assumerebbe una posizione centrale e dovrebbe essere gestito dalla presidenza del Consiglio”. Il riferimento è alla recente riforma della governance spaziale, che ha riportato omogeneità alle politiche nel campo mettendone la responsabilità nella mani del presidente del Consiglio, supportato per questo da un apposito Comitato interministeriale, a sua volta supportato da una Struttura di coordinamento. Altro riferimento è la normativa del Golden power, “con un Gruppo di coordinamento interministeriale presso la presidenza del Consiglio che esamina la documentazione e predispone le decisioni per l’eventuale approvazione da parte del Consiglio dei ministri”. Secondo Nones, Palazzo Chigi “potrebbe avvalersi dell’Ufficio del consigliere militare per la gestione del coordinamento interministeriale, in considerazione della sua competenza ed esperienza in materia e dell’essere meglio collegato col ministero della Difesa, l’amministrazione pubblica più coinvolta nel sistema nazionale G2G”.

QUELLA MODIFICA SULLA 185

Resta infine, il discorso sulla legge 185 del 1990 relativo all’export degli armamenti. Lo studio Iai conclude che “bisognerebbe intervenire”; così da “poter applicare agli accordi G2G le stesse semplificazioni che vengono concesse sulle esportazioni italiane verso i Paesi Ue; infatti, non avere un canale preferenziale per questo tipo di accordi potrebbe svuotarli, almeno in parte, di significato e renderli poco competitivi nel quadro europeo ed internazionale”.

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