Come mantenere il vantaggio militare d’Israele in Medio Oriente nel caso di vendita agli Emirati Arabi dei velivoli di quinta generazione F-35? È la domanda intorno a cui ruota la visita odierna al Pentagono di Benny Gantz, ministro della Difesa e vice primo ministro, leader del partito Blu e bianco che governa in coalizione con Likud di Benjamin Netanyahu. L’incontro con il segretario alla Difesa Usa Mark Esper arriva a una settimana dalla firma degli “Accordi di Abramo” alla Casa Bianca e punta a sciogliere uno dei dossier più intricati nelle relazioni attuali tra Washington e Tel Aviv. Intanto, a contestualizzare la visita è arrivato il lancio di Reuters, secondo cui Emirati Arabi e Stati Uniti sono intenzionati ad avere un accordo iniziale sulla fornitura di F-35 entro dicembre.
L’ACCORDO DI NORMALIZZAZIONE
Lo scorso 4 settembre, il New York Times rivelava il via libera “privato” di Netanyahu alla vendita emiratina. Lo sblocco definitivo sembrerebbe però arrivato la scorsa settimana alla Casa Bianca, con la firma degli Accordi di Abramo tra Israele, Emirati Arabi e Bahrein, presenziata da Donald Trump. In realtà, come ha sempre tenuto a sottolineare Tel Aviv, la vendita ad Abu Dhabi non è inserita nell’intesa. Ciò ha permesso a Israele di mantenere la linea dura sul dossier F-35 anche nel momento di massima distensione negoziale sugli accordi di normalizzazione. Il clima di riavvicinamento ha però aiutato ad attenuare l’opposizione israeliana. Lo ha fatto anche l’uscita a metà settembre (pochi giorni prima dell’incontro a Washington) di Anwar Gargash, membro del gabinetto federale emiratino, già ministro degli Esteri, che ha riconosciuto come gli F-35 non riguardassero gli Accordi di Abramo.
IL VANTAGGIO MILITARE DI ISRAELE
E così, dopo il bilaterale con Netanyahu alla Casa Bianca, Donald Trump ha spiegato a Fox News che non avrebbe avuto alcun problema a vendere i velivoli di quinta generazione agli Emirati. Parallelamente, lo stesso Gantz, che in precedenza si era mostrato duro sul tema, appariva più morbido mostrando che l’eventuale fornitura rappresenta “una prerogativa americana, e non israeliana”. La svolta potrebbe essere arrivata già prima, a fine agosto, con il tour mediorientale di Mike Pompeo in Medio Oriente. “Gli Stati Uniti hanno un impegno giuridico nei confronti del vantaggio militare israeliano a livello qualitativo, e continueranno a onorarlo”, ha detto il segretario di Stato affianco a Netanyahu. È il punto che interessa di più a Israele, ovvero la garanzia dell’impegno dell’alleato americano a mantenere il vantaggio militare del Paese rispetto agli altri attori mediorientali, il cosiddetto Qualitative military edge (Qme). Secondo Reuters, nell’accordo tra Usa e Emirati per la vendita F-35 potrebbe esserci una garanzia per Israele su questo punto.
LA CARTA IRANIANA
Un punto su cui Pompeo rispolverava nella visita mediorientale anche la carta iraniana, la stessa su cui si basa buona parte della normalizzazione di rapporti tra Gerusalemme e Abu Dhabi (entrambe antagoniste di Teheran) e con cui Washington punta a convincere altri Paesi del Golfo a salire a bordo degli “Abraham Accords”. Gli Emirati, notava il capo della diplomazia Usa, hanno “bisogno” di certi equipaggiamenti per risponde all’assertività di Teheran. Non pare un caso, in questo senso, che l’incontro odierno al Pentagono arrivi il giorno dopo le nuove sanzioni Usa all’Iran, spiegate nella sede del dipartimento di Stato anche dallo stesso Mark Esper, che oggi incontra Benny Gantz. “L’ordine esecutivo firmato dalla presidenza – notava ieri il capo del Pentagono – distruggerà ulteriormente gli sforzi iraniani tesi a importare e diffondere armamenti convenzionali, aiutando così a proteggere le forze Usa, gli alleati e i partner”. E infatti anche l’Iran è nell’agenda dell’incontro al Pentagono tra Gantz ed Esper, intenzionati a discutere come “ridurne l’espansione nella regione”. Il primo punto del comunicato del ministero della Difesa israeliano è però un altro: il mantenimento del vantaggio qualitativo militare del Paese.
IL RUOLO DEL CONGRESSO
Tradizionalmente, l’argomento viene sviscerato e aggiornato dalla strutture tecniche dei rispettivi dipartimenti della Difesa. Eppure, un ruolo potrebbe averlo anche il Congresso americano, lì dove Israele può esercitare comunque una discreta influenza. Non poche voci di critica si sono alzate dal mondo dem sull’ipotesi di vendita degli F-35 agli Emirati. Come spiegava Formiche.net, sono per lo più legate “alle azioni militari in Yemen, dove l’ex coalizione saudi-emiratina ha prodotto migliaia di vittime civili nel tentativo di salvare (invano) il Paese dalla rivolta dei ribelli Houthi”. La speaker della Camera Nancy Pelosi ha promesso “controllo e monitoraggio” parlamentare sul mantenimento del Qme israeliano. Anche il leader della maggioranza repubblicana al Senato Mitch McConnel ha posto l’accento sul tema, notando come il Congresso abbia “l’obbligo” di rivedere ogni accordo di vendita in campo militare di questa portata.