Sir Kim Darroch, ex ambasciatore del Regno Unito a Washington, si è chiesto quanto di Donald Trump ci sia nella gestione della Brexit promossa da Boris Johnson. L’ex diplomatico, che ha lasciato l’incarico a luglio dell’anno scorso dopo che erano trapelati i suoi commenti poco generosi verso l’attuale amministrazione statunitense (“inetto” e “disfunzionale” gli aggettivi usati per definire il presidente), è intervenuto al programma Newsnight della BBC Two. Ha raccontato di una conversazione di due anni fa con Johnson, allora candidato alla leadership tory e oggi premier: “Diceva che se Trump avesse negoziato la Brexit avrebbe creato il caos all’inizio e la gente si sarebbe indignata per quello che stava dicendo, ci sarebbero stati importanti scontri” ma, alla fine, “potrebbe esserci un buon risultato”. “Ogni sorta di caos” per ottenere un accordo, ha rivelato ancora l’ex diplomatico di quella conversazione.
Rivelazioni che giungono a poche ore dalla presentazione alla Camera dei Comuni dell’Internal Market Bill, la discussa legge interpretativa dell’accordo Brexit che per ammissione del governo britannico viola “limitatamente” il diritto internazionale. Come spiegato in commissione Giustizia alla Camera dei Comuni dal ministro dell’Irlanda del Nord del governo Johnson, Brandon Lewis, si tratterebbe di una norma che rimette al Parlamento britannico “il potere di disapplicare l’articolo 4” del protocollo sull’Irlanda “in certe circostanze definite molto strettamente”, qualora non si arrivi a un’intesa commerciale con l’Unione europea sulle relazioni future post Brexit.
LE TENSIONI CON L’UE
Un’ammissione che proprio non è piaciuta a Bruxelles. Il presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha sottolineato che “l’Unione europea rispetta la sovranità del Regno Unito e ci aspettiamo che il Regno Unito rispetti i nostri principi fondamentali su cui siamo stati trasparenti e chiari fin dall’inizio. Pur non volendo un accordo a ogni costo, esortiamo il Regno Unito a lavorare con noi in maniera costruttiva e a trovare dei compromessi che siano nell’interesse di entrambe le parti” . E ancora: “Fiducia e credibilità sono fondamentali. Ci aspettiamo che il Regno Unito rispetti pienamente gli impegni che ha negoziato e sottoscritto l’anno scorso, soprattutto per quanto riguarda i diritti dei cittadini e l’Irlanda del Nord”.
Che le burocrazie europee non piacciono agli attuali leader britannico e statunitense è cosa nota. Ma quanto Trump e Johnson sono simili per fini e mezzi? Nel volume L’età della nostalgia in uscita domani per Egea, Edoardo Campanella e Marta Dassù tratteggiano alcune somiglianze tra le politiche attuali negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Come Trump nel 2015-2016 prometteva di congelare il presente se non addirittura di tornare ai fasti del passato e alle tradizioni a suo dire perduto (utilizzando parole come again e back o frasi come “se verrò eletto torneremo a dirci buon Natale”), negli stessi mesi il fronte per il Leave in vista del referendum britannico veicolava un semplice messaggio: “Siamo ancora una grande nazione”, “Possiamo fare le cose a modo nostro”. “Questo dato — la convinzione nella diversità positiva e quindi nell’eccezionalismo britannico — è esattamente ciò che ha collegato le due anime dello schieramento per il Leave: la sua anima intellettuale, elitaria e post-imperiale; e la sua anima popolar, rurale o ex operaia, periferica rispetto a Londra”, commentano Campanella e Dassù. Un dato che, aggiungiamo noi, è ben sintetizzato nella figura dell’intellettuale populista di Boris Johnson che, a differenza di Trump che con disprezzo i nemici definiscono “un palazzinaro”, è un membro dell’élite tory.
RELAZIONE SPECIALE?
Nel libro Campanella e Dassù analizzano poi l’asimmetria della special relationship tra Washington e Londra, definita “parte di un mito nazionale britannico”. Storicamente, notano, “la specialness sconta una forte asimmetria di potere e influenza tra i due Paesi: la conseguenza è che Londra ha sempre teso a rivendicarla ben più di Washington”.
Nel negoziato Brexit Johnson sembra aver preso spunto dal vizio di Trump di alzare la posta. Avrà successo? Non tutto sembra dipendere da lui.
Questo assetto geopolitico definito dalla crisi di Suez del 1956 che ha relegato il Regno Unito a media potenza — oltre al rischio di cambiamento degli equilibri politici interni (un’amministrazione Biden sarebbe più dialogante con l’Unione europea) — rappresenta uno dei limiti della special relationship (ma anche, aggiungiamo noi, una debolezza per la mano negoziale britannica con l’Ue).
E così Campanella e Dassù notano come la convergenza ideologica (le agende sovraniste di Trump e dei Brexiteer) mascheri in realtà importanti differenze: “L’agenda britannica sottolinea l’esigenza di controllo nazionale ma difendendo il sistema multilaterale, a partire dal libero scambio (l’ambizione dichiarata di Boris Johnson sarebbe anzi di trasformare la Gran Bretagna nel pivot del commercio globale); la seconda, l’agenda di Trump, è invece un’agenda unilateralista e almeno in parte protezionista, nel nome dell’America First”. Divergenze che, per esempio, stanno complicando i negoziati sui dettagli per un accordo di libero scambio tra Washington e Londra.