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L’Italia resti a fianco del Libano. La visita di Conte a Beirut secondo il gen. Bertolini

“Un segnale positivo, quasi dovuto visti i legami storici tra Italia e Libano”, a cui dovrà seguire un impegno concreto affinché il Paese ritrovi un punto di equilibrio, smarcandosi dai tentativi di imposizione dall’esterno. È la visita di Giuseppe Conte a Beirut descritta a Formiche.net dal generale Marco Bertolini, già comandante del Comando operativo di vertice interforze (Coi) e della Brigata paracadutisti Folgore, grande conoscitore del Paese dei cedri. Il presidente del Consiglio si è recato oggi a Beirut a oltre un mese dalla violenta esplosione che ha colpito la città e messo in ginocchio un Paese già colpito dalla crisi economica e dall’emergenza sanitaria Covid-19. Visita condita dagli incontri con il presidente Michel Aoun, il premier da poco designato Mustapha Adib e dal passaggio presso l’ospedale da campo allestito dai militari italiani impegnati nell’operazione “Emergenza cedri”, lanciata un paio di settimane fa dal ministero della Difesa targato Lorenzo Guerini, anche lui a Beirut all’inizio della scorsa settimana.

Generale, che segnale è la visita di Conte a Beirut?

Un segnale sicuramente positivo, direi quasi dovuto nei confronti di un Paese per cui l’Italia non rappresenta una realtà qualsiasi. Il Libano vive praticamente una situazione di guerra continua al suo fronte sud, con frizioni note costanti, e ha sempre fatto molto affidamento all’Italia, scegliendo spesso comandanti del nostro Paese per le truppe dell’Onu (la missione Unifil è ora al comando del generale Stefano Del Col, ndr) che garantiscono sicurezza sul fianco meridionale. Per questo, un gesto d’attenzione da parte dell’Italia era dovuto. Spero che il nostro Paese confermi il suo impegno, sia all’interno di Unifil per mantenere l’interposizione tra Hezbollah e Israele, in un’area particolarmente delicata, sia in termini di aiuto nel superare una crisi politica importante.

Come?

Tra effetti dell’esplosione a Beirut c’è stata la caduta del governo. Il Libano deve ritrovare un esecutivo che sia in linea con quella che è la sua situazione. Non necessariamente ciò starà bene alla comunità internazionale (a partire dalla presenza Hezbollah), ma spero che l’Italia, per presenza storica e conoscenza degli interlocutori, svolga un ruolo che permetta di far accettare le esigenze del Paese. La stabilità del Libano non può essere imposta dall’esterno.

Conte ha promesso che l’Italia resterà al fianco del Libano. È secondo lei un segnale anche verso Emmanuel Macron, per due volte in visita a Beirut dall’esplosione, che molti hanno descritto nel tentativo di guidare il processo di riforma libanese?

La Francia in Libano mantiene da sempre un’ombra importante. La maggioranza dai libanesi è francofona, e la lingua non è mai un dettaglio. Anche nel sud del Paese, nonostante non abbia grandi forze, la Francia si è sempre fatta sentire. Macron ha fatto quello che ci si sarebbe dovuti aspettare dal presidente francese. È intervenuto nel momento più delicato, subito dopo l’esplosione, con una visita che sicuramente avrà fatto piacere ai libanesi. Un’attenzione, quella di Parigi, che conferma come nel Mediterraneo non ci sia solo la Turchia a pensare in grande. Con l’attivismo sul Libano, la Francia certifica di tenerci nel proporsi come protagonista nell’area. Che da questo derivino azioni precise è ancora da vedere, ma resta il fatto che in Medio Oriente Parigi non vuole essere spettatrice.

L’Italia ha 1.100 militari impegnati in Unifil e dopo l’esplosione ha attivato l’operazione “Emergenza Cedri”. Quanto del legame che lei ha descritto dipende dal ruolo delle nostre Forze armate?

Moltissimo. Sicuramente dipende anche dai rapporti commerciali, ma la nostra politica è stata spesso altalenante e variabile in termini di attenzione per il Libano. Al contrario, la presenza militare è stata sistematica e costante. Nel 2006, quando è iniziata l’attuale fase dell’operazione Unifil dopo lo scontro al sud con Israele, l’intervento internazionale è stato guidato dall’Italia, che ha contribuito a risolvere la situazione. Si ricordano la portaerei Garibaldi al largo di Beirut e lo sbarco dei nostri militari. Credo che buona parte della credibilità che abbiamo oggi sia dovuto al ruolo delle nostre Forze armate, soprattutto a sud, lì dove ci conoscono bene, ma anche a Beirut. Dobbiamo riconoscere alla Difesa il grande merito di aver ricavato per l’Italia una posizione importante nel Paese dei cedri.

Torniamo alla visita di oggi. Il premier ha detto che da parte di “molti” nella società civile libanese è emersa la necessità di un patto istituzionale “più laico” rispetto all’attuale ordine costituzionale su base confessionale. È possibile?

Ritengo che tale ipotesi non tenga contro della situazione reale nel Paese. La divisione partitica libanese è di per sé confessionale. Da noi persone della stessa religione possono votare per partiti diversi, essere di destra o di sinistra. Lì invece la divisione politica rispetta in pieno le sfaccettature confessionali. Non capirlo vuol dire perdere tempo e non aggiungere nulla alla soluzione del problema. Il Libano è un miracolo di stabilità nella parte più instabile del mondo. Lo è perché le diverse componenti religiose hanno sempre trovato equilibrio, seppur a fatica come per l’ultimo esecutivo. Se l’idea di laicizzare il confronto democratico parte dal presupposto di escludere alcune realtà, rischia di rivelarsi pericolosa. In Libano continueranno a contare le comunità religiose, a partire da quelle cristiane. L’obiettivo è fare in modo che tutte vadano d’accordo e trovino un nuovo punto di equilibrio.

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