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La Lega cambia, ma la leadership di Salvini è salda. La bussola di Ocone

Per quanto i giornali e il gossip parlamentare e del sottobosco romano amino immaginare contrapposizioni e guerre intestine alla Lega, un fatto è sicuro: la leadership di Salvini non la può mettere in discussione nessuno. Per due elementi, fondamentali: per aver egli portato il suo partito a percentuali prima di lui diventate inimmaginabili; e perché la Lega è un “partito personale”, non nel senso che sia una gabbia ideologica (anzi le sensibilità presenti al suo interno sono di più e più differenziate che in qualsiasi altro raggruppamento) ma in quello che si è costruito attorno alla figura carismatica (e perciò anche divisiva) di un Capo che ha un rapporto quasi prerazionale e empatico col suo “popolo”. Almeno finché il “tocco magico” lo sorreggerà (anche l’altro Matteo, Renzi, ha avuto questo “tocco” ma oggi lo ha ormai, credo irreversibilmente, perso).

La Lega potrà perciò anche modificare o correggere la sua narrazione, come glielo impone a mio avviso l’esperienza e anche in parte il mutato contesto generale, ma questo cambiamento, che è già in atto, avrà ancora il Capitano al suo centro. E d’altronde, lo stesso Giancarlo Giorgetti, che la stampa pigramente ama immaginare come un competitor di Salvini, ha ben chiaro questo elemento: tanto da parlare sempre al plurale quando esprime le sue idee sulla direzione, che soprattutto in politica estera (che è poi sua delega), il partito dovrà ora prendere. Perché hic Rhodus hic salta: dai rapporti internazionali, e in conseguenza anche con l’Unione Europea, passerà la possibilità di spezzare quel “cordone sanitario” che si è stretto intorno alla Lega e che le impedisce di rendere spendibile il capitale di consensi che si porta dietro e di aspirare senza ostacoli al governo nazionale. Qui non si tratta di rinnegare il “sovranismo”, come pure pigramente si dice. Sia perché la sovranità e l’interesse nazionale conta, e (auspicabilmente) conterà ancora molto e per molto tempo, in Europa; sia perché esso da sempre, non da oggi, si è potuto affermare solo lavorando sui rapporti con gli altri Stati (si pensi solo un attimo a come è avvenuta l’unità italiana).

La stessa Unione Europea può configurarsi come una parziale cessione di sovranità, ma ciò può avvenire solo democraticamente (e su questo bisogna insistere) e in un’ottica che salvaguardi e non sopprima le differenze specifiche interne al nostro continente. Nel quale ovviamente noi oggi abbiamo un peso specifico molto basso, e siamo a “sovranità limitata”, anche per gli errori sia politici (una certa leggerezza nel firmare i Trattati) sia economici (da cui è scaturito il nostro debito) fatti in passato.

Sembrerebbe perciò che già la settimana prossima inizierà un processo che dovrebbe portare in più fasi allo “sdoganamento” finale del partito salviniano. I 29 parlamentari eletti a Strasburgo lasceranno infatti il raggruppamento di estrema destra, in cui si trovano e che francamente non corrisponde alla natura quasi post-ideologica che ha il partito (su questo elemento, dei tanti di sinistra che hanno votato Lega, ha insistito in una recente intervista Luca Zaia). Non si tratta di rinnegare alcunché, ma semplicemente di aggiornare e articolare il proprio discorso contro certe politiche europee.

Con l’amichevole “divorzio”, i leghisti si renderanno perciò “disponibili” ad approdi meno testimoniali, che andranno ovviamente costruiti lentamente e con molta sagacia. Quali non è dato sapere. Ma certo quello popolare, casomai agevolato da un Silvio Berlusconi in grado di guardare al futuro, potrebbe essere ottimo. Non tanto per la presenza di Viktor Orban, che però anche per questo è sempre all’interno di tutti i giochi, quanto per il fatto che la svolta ambientalistica e di sinistra di Ursula von der Layen genera resistenze e mal di pancia non indifferenti fra molti popolari (ad esempio nella Csu bavarese) con cui si potrebbe fare sponda. Non dimentichiamo che Salvini si aggregò frettolosamente a Marine Le Pen e all’olandese Geert Wilders per aver trovato le porte chiuse nel raggruppamento conservatore, che era già impegnato in Italia con Giorgia Meloni. E anche perché contava, anche allora, su una “spallata” che rendesse impossibile una maggioranza a Bruxelles (la quale si è invece formata, non dimeniciamo, anche per il “tradimento” dei grillini, che però in questo modo si sono visti “legittimati” e riconsciuti).

Quella che si sta preparando nella Lega non è “un’inversione ad U”, ma un necessario aggiornamento della linea politica di cui si fa garante lo stesso segretario.

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