Le tensioni diplomatiche tra l’Occidente e la Russia in seguito all’avvelenamento dell’oppositore Alexei Navalny coinvolgono il gasdotto Nord Stream 2, che già vedeva contrari gli Stati Uniti (spaventati dalla dipendenza energetica tedesca da Mosca) oltre ai Paesi di Visegrad (Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria), agli Stati baltici e all’Ucraina, che verrebbero aggirati dall’infrastruttura. Nona Mikhelidze, a capo del programma Europa orientale ed Eurasia dello Iai, aveva spiegato nei giorni scorsi a Formiche.net che “fermare il Nord Stream 2” è “l’unico game-changer” credibile nei rapporti tra l’Europa e la Russia di Vladimir Putin.
Dopo il caso Navalny, infatti, si è allargato il fronte che chiede alla cancelliera Angela Merkel di bloccare il gasdotto. Come evidenziato anche da Formiche.net nei giorni scorsi, in prima linea ci sono il più diffuso quotidiano del Paese (la Bild), il partito di opposizione più alto nei sondaggi (i Verdi) e una grossa fetta del partito della cancelliera (la Cdu). Tra i più accesi critici dell’infrastruttura c’è Norbert Röttgen, candidato alla presidenza del partito e presidente della commissione Esteri del Bundestag.
Contro il Nord Stream 2 si è schierata anche la grande stampa internazionale. “Il gasdotto non ha alcuna ragione commerciale, ma è in sostanza un progetto politico per dirottare le forniture delle ancora affidabili condotte che attraversano l’Ucraina”, si legge in un recente editoriale del Financial Times. Il Wall Street Journal ha invece invitato il presidente statunitense Donald Trump a seppellire l’ascia di guerra con la Germania:“Se Trump vuole che Merkel cancelli il Nord Stream 2, come dice, può lavorare per coordinare una risposta che assicuri alla Germania sostegno” nel caso in cui decidesse di procedere contro il gasdotto. “Trump non si è mai preoccupato molto dei diritti umani, ma questo è un problema in cui i diritti si intrecciano con gli interessi nazionali degli Stati Uniti”, concludeva il Journal.
Fermarlo, ma come? Politico Europe risponde a questo interrogativo mettendo in fila sei modi. Primo: revocare i permessi per il gasdotto (ma il costo economico dei probabili contenziosi internazionali supererebbe quello per la realizzazione). Secondo: mandare avanti le Ong preoccupazione per l’impatto sul riscaldamento globale (permetterebbe alla politica tedesca di stare a guardare). Terzo: emettere una restrizione nazionale sulle importazioni di gas dalla Russia (con un precedente però che non fa ben sperare per la proporzionalità tra decisione e motivazione: nel dicembre dell’anno scorso il tribunale amministrativo di Francoforte ha respinto una restrizione sulle vendite di veicoli blindati all’Arabia Saudita decisa in risposta all’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi). Quarto: lasciare che le sanzioni statunitensi soffochino il progetto (ciò richiederebbe che la politica tedesca abbassasse i toni per la presunta violazione della sovranità di Berlino da parte di Washington). Quinto: sostenere le sanzioni europee (“l’opzione attiva più sicura” per la Germania, scrive Politico Europe, vista la mossa sarebbe condivisa dai 27 Stati membri). Sesto: negare al gasdotto il via libera finale per non conformità.
La cancelliera Merkel è davanti a un doppio bivio. Seguirà fino in fondo la linea dura con Putin? Se sì, lo farà in prima persona o affidandosi al lavoro sporco di altri?