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Iran, il caso Sotudeh e la pressione contro Teheran

È molto grave Nasrin Sotudeh, l’avvocatessa e attivista per i diritti umani arrestata dal 2018 dalle autorità iraniane. La donna è stata portata oggi all’ospedale Talaghani di Teheran. Le sue condizioni di salute sono peggiorate ulteriormente, dopo 40 giorni di sciopero della fame. Ad avvertire della situazione è stato il marito, Reza Khandan: Nasrin è indebolita, e ha palpitazioni di cuore e respiro affannoso.

Premiata dal Parlamento europeo nel 2012 con il riconoscimento Sacharov, Nasrin Sotudeh è famoso per le sue battaglie in difesa dei diritti delle donne nella repubblica islamica. È uno dei volti della resistenza l’obbligatorietà del velo islamico sul territorio iraniano.

Dopo tre anni in carcere, dal 2010 al 2013, è stata di nuovo arrestata nel 2018. Le autorità l’hanno condannata a 33 anni di reclusione e 148 frustate per diversi reati: complotto contro la sicurezza nazionale, minacce al sistema, istigazione alla corruzione e alla prostituzione ed essersi presentata senza velo davanti ad un tribunale. Anche sua figlia, Mehraveh Khandan, era stata fermata, ma poi rilasciata.

In pochi parlano del caso di Nasrin in Europa. Oggi però, dopo l’aggravarsi della situazione, il presidente della commissione Esteri della Camera dei deputati e deputato del Partito democratico, Piero Fassino, ha lanciato un appello per chiedere la liberazione dell’avvocatessa, che in questo momento è in pericolo di vita. “Condannata nel 2018 a 33 anni di carcere per le sue battaglie civili – ha sottolineato Fassino – da 40 giorni è in sciopero della fame per ottenere la liberazione dei prigionieri politici. È indispensabile un’azione immediata per ottenerne la liberazione e salvarle la vita. Il presidente Conte e il ministro Di Maio compiano tutti i passi necessari sulle autorità di Teheran e sollecitino la presidente Von der Leyen e l’Alto commissario Borrell ad assumere tutte le iniziative necessarie a scongiurare un esito tragico”.

La questione che riguarda l’avvocatessa si sovrappone a una campagna molto severa che dagli Stati Uniti si muove verso e contro l’Iran. La posizione americana abbraccia sia l’aspetto politico-militare-geopolitico che quello riguardante i diritti umani. La campagna condotta dal Dipartimento di Stato infatti si muove su questa doppia linea. Da una parte si contesta il gioco di influenza maligno che i Pasdaran stanno da tempo imponendo nel Medio Oriente attraverso la diffusione di milizie sciite controllate; dall’altra le privazioni che impongono ai propri cittadini.

Sono usati attori violenti, aggressivi, spesso connessi ad attività terroristiche, come i libanesi di Hezbollah o le altre organizzazioni simili in Iraq: realtà che con l’aiuto (e per conto) dei conservatori iraniani hanno scalato le istituzioni nei rispettivi paesi costruendo una sfera d’influenza a beneficio della Repubblica islamica e dell’internazionale sciita che dagli ayatollah viene professata. Contemporaneamente però, da Foggy Bottom – spesso attraverso la voce del segretario di Stato, Mike Pompeo – il regime teocratico iraniano viene costantemente messo sotto i riflettori per quel che riguarda le propri pratiche costrittive in termini di diritti umani e civili.

Nei mesi iniziali del 2020, fine 2019, ci sono state varie proteste di piazza da parte dei giovani iraniani che chiedevano al governo di cessare le ambizioni egemoniche e imperiali nella regione per tornare a occuparsi maggiormente della spesa pubblica interna. I Pasdaran hanno soppresso le manifestazioni con la forza. Gli Stati Uniti, come ricorda oggi su Twitter lo stesso Pompeo, hanno riattivato contro l’Iran l’intera panoplia sanzionatoria andando a colpire tutti i settori più strategici per il paese e punendo la sfera generale dei comportamenti del regime.

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