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Perché votare No al referendum. Lo spiega Sofia Ventura

La principale ragione del No alla conferma della revisione costituzionale implicante il radicale taglio del numero dei parlamentari (Camera e Senato) è costituita dalla totale assenza di buone ragioni per procedere a questo taglio. Naturalmente i sostenitori del Sì di ragioni hanno tentato di proporne varie. Peraltro più o meno le stesse, politici, studiosi, commentatori, a ondate, come se i meno abili nel produrre giustificazioni si fossero affrettati ad attingere al paniere delle “ragioni” ogni volta che i più abili ne sfornavano qualcuna. Naturalmente faccio qui riferimento alle “ragioni” di chi non vuole certo essere confuso con i populisti, ovvero i “Non-populisti per il Sì”.

Le abbiamo lette tutti: coniugate al futuro e/o al condizionale. Perché il taglio porterà i suoi frutti quando e/o se seguiranno altre riforme. Il taglio sarebbe dunque una breccia per nuove riforme. Perché dopo quella breccia, però, ci si dovrebbe aspettare un certo percorso, rimane inspiegato. Al tempo stesso, rimane inspiegato anche il motivo per cui la prospettiva di un sistema proporzionale “molto proporzionale”, con magari le preferenze, insieme all’abbassamento dell’elettorato passivo e attivo per il Senato – ovvero le famose correzioni che come la manna dovrebbero scendere dal cielo per coronare il disegno riformatore aperto con il Sì – dovrebbe essere desiderabile. Per non parlare dell’idea per cui divenendo sempre più somiglianti le due camere, esse dovrebbero giungere a fondersi in un monocameralismo (un po’ una cosa da piccolo chimico): e perché mai il monocameralismo dovrebbe essere preferibile? Tutte le grandi democrazie sono bicamerali e se si studia il funzionamento dei sistemi politici si capisce perché (ma se gli studiosi usano strumentalmente le loro conoscenze per sostenere le soluzioni che per vari motivi più aggradano loro, come ci si può aspettare che chi non studia queste materie possa essere seriamente informato su questi temi?).

Dunque, il ragionamento dei sostenitori del Sì si riduce a: vogliamo cambiare, questo è un cambiamento, di per sé non funziona, ma poi cercheremo di farlo funzionare. E cercheremo di farlo funzionare con una serie di “correttivi” che abbiamo deciso essere meravigliosi, ma non spieghiamo il perché e nemmeno abbiamo voglia di dibatterne pubblicamente, perché tanto è ovvio che sono meravigliosi. Vi è poi un corollario a questa assenza di buone ragioni, ovvero il fatto che una drastica trasformazione della “forma” del parlamento realizzata nel vuoto di pensiero di una riorganizzazione più generale (del meccanismo di rappresentanza e del funzionamento delle assemblee) e degli obiettivi che si vogliono raggiungere con quella trasformazione (concreti, non generiche efficienze proclamate a mo’ di slogan) non può che produrre disastri e cortocircuiti.
Il No è dunque anche un No a una colossale menzogna. Ovvero che si stia procedendo ad una riforma con l’intento di migliorare il sistema politico-istituzionale. Se così fosse, non dovremmo ascoltare tutti questi futuri e questi condizionali, queste giustificazioni sulla difensiva, queste piroette (sempre le stesse) per far credere che una riforma voluta dal Movimento 5 Stelle per umiliare il parlamento, coerentemente con la sua visione illiberale e antiparlamentare – una visione alla quale non può rinunciare nemmeno adesso che detiene il potere di governo – rappresenti ora una fulgida occasione di rinnovamento. Quella traballante sovrastruttura di giustificazioni messa in piedi dai “non populisti per il Sì” serve solo a celare il desiderio (per alcuni), la convenienza (per altri) o l’avvertita necessità ai fini della sopravvivenza (per altri ancora) che l’esperienza del governo giallo-rosso continui e si rafforzi, magari con una sempre più intima compenetrazione tra grillini e democratici.
Infine, che le ragioni populiste, quelle che hanno dato vita alla riforma, siano pessime ragioni, lo capisce anche un bambino: sono espressione dell’incultura di chi ignora ancor prima che disprezzare i principi del funzionamento delle democrazie liberali e si muove così con la più completa disinvoltura, senza porsi limiti, per raccattare facili consensi in un paese dove la semina anti-casta prosegue ormai da decenni.

Il No è quindi un No anche al veleno populista, penetrato nelle nostre istituzioni e nell’opinione pubblica ormai in profondità e che se non neutralizzato stravolgerà la nostra democrazia. Un veleno che ipocritamente viene usato da chi populista non sarebbe, ma del populismo ha deciso di fare uso, arrivando a barattare un pezzo di costituzione con l’interesse politico contingente.

Il No è anche un No al tradimento della buona Politica.


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