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Perché dico No al taglio della democrazia. La versione di Suor Anna Monia Alfieri

Il primo passo è partire sempre dalla Costituzione. Come italiani, in quanto cittadini, dobbiamo sempre iniziare da lì, dalla Costituzione. Essa stabilisce che “la sovranità appartiene al popolo” – cioè a tutti indistintamente i cittadini- “che la esercita nelle forme e nei limiti” che la Costituzione stessa indica (Art.1).

Il secondo passo è però chiarire che cosa s’intende effettivamente con il termine “sovranità”. Essa può essere definita come la somma dei poteri detenuti da un singolo cittadino o da un organo collegiale: nel nostro Paese la somma di questi poteri di governo spetta al popolo, non ad altri, proprio perché, lo ripetiamo, siamo cittadini, siamo una democrazia. E siamo cittadini perché abbiamo una Costituzione che ce lo dice, una Costituzione nata dal travaglio della guerra, del totalitarismo con il suo partito unico, con le sue leggi razziali, e infine della Resistenza.

Correva il 2 giugno 1946: per la prima volta in una consultazione politica nazionale votavano anche le donne (risultarono votanti circa 13 milioni di donne e 12 milioni di uomini), pari complessivamente all’89,08% degli allora 28. 005. 449 di aventi diritto al voto. Con 12. 717. 923 cittadini favorevoli nacque la Repubblica e si diede luogo all’Assemblea Costituente che, in poco meno di due anni, elaborò la Carta Costituzionale, entrata in vigore il 1° gennaio 1948.

È sempre doveroso ricordare da dove si parte: occorre conservare il ricordo delle cause che hanno determinato scelte fondamentali per la nostra storia. Soprattutto ora che la stragrande maggioranza di chi ha vissuto quegli anni ormai non c’è più, e le celebrazioni del 4 novembre, del 25 aprile, del 2 giugno non sono più animate dalle sezioni “Combattenti e reduci” (quelli veri), come accadeva, in ogni paese, fino a qualche anno fa… Ora abbiamo i figli, abbiamo i nipoti e non è la stessa cosa, la memoria si è sbiadita, e la storia è appresa spesso più dalle fiction che sui libri o a scuola.

Ma torniamo da dove siamo partiti: la sovranità. Il popolo come la esercita materialmente? Innanzitutto attraverso l’elezione del Parlamento che è composto dalla Camera dei Deputati e dal Senato della Repubblica che hanno eguali compiti e poteri (il cosiddetto bicameralismo perfetto). Per volontà dei Costituenti, Parlamento è l’Istituzione centrale su cui regge l’intero nostro sistema costituzionale. Esso formula e approva le leggi, indirizza e controlla l’attività del governo, svolge attività di inchiesta su materie di pubblico interesse, concede e revoca la fiducia al governo, e in seduta comune, con la partecipazione dei delegati regionali, elegge il Presidente della Repubblica. Sempre in seduta comune, il Parlamento elegge una parte dei giudici della Corte costituzionale e dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura. Ecco i suoi poteri: poteri attribuiti perché la democrazia possa effettivamente esercitarsi, essere custodita e mantenuta. Com’è sempre fin qui avvenuto, anche negli anni più bui della nostra storia repubblicana. Il Parlamento, presidio della libertà. Discussioni aspre, accese, ma sempre in Parlamento. Aborto, divorzio, lotta al terrorismo: sempre in Parlamento. I cittadini possono dunque esprimersi e governare realmente la Nazione non solo nel momento elettorale, ma ancor più attraverso il regolare svolgimento delle attività svolte dai loro rappresentanti nelle aule parlamentari.

Ma tutto questo stride con la realtà attuale: da dicembre 2018 ad oggi l’ordinaria attività del Parlamento è impedita poiché – per ragioni motivate dall’emergenza Covid – si agisce per DPCM e ogni provvedimento passa (prolungamento dello stato di emergenza compreso) a colpi di maggioranza mediante il sistematico ricorso al voto di fiducia: la funzione centrale del Parlamento è così ridotta a una pura formalità, nulla è più discusso, migliorato, rettificato, votato. È un dato di fatto la concentrazione dei poteri di governo in un’unica persona. Anche chi è meno avvezzo alla politica, si è accorto che sta prevalendo una modalità di governance che scavalca il ruolo del Parlamento, mettendo così a dura prova l’esercizio della democrazia e la libertà dei cittadini. Non a caso il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva rivolto al governo e a tutti i leader dell’opposizione un appello alla responsabilità nazionale nel redigere il Decreto Cura Italia e quelli a seguire. Appariva naturale e doveroso, nella criticità di questa fase, un atteggiamento di unità, dialogo e spirito di collaborazione. L’appello però è caduto, ancora una volta, nel vuoto e così quelli che sono seguiti. A rimetterci è il popolo, gli italiani, soprattutto i giovani.

Ma non è tutto. I cittadini, oltre ad essere lesi nei propri diritti che potremmo definire “ontologici”, perché riguardano la natura stessa del loro essere tali, sono lesi nelle loro aspettative per il futuro. Si fa sempre più concreto infatti il rischio di condannare il Paese ad un debito senza precedenti, che le generazioni future non potranno ripagare. Pochi giorni fa il dott. Mario Draghi ha ritenuto doveroso avvisare il governo che, una volta esauriti i sussidi, necessari per fronteggiare la prima fase dell’emergenza per poi ripartire, il rischio è che ai giovani, cui toccherà in sorte di ripagare il debito, resti soltanto «la mancanza di una qualificazione professionale, che potrà sacrificare la loro libertà di scelta e i loro redditi futuri».

Agli italiani quindi, lesi nei loro diritti, danneggiati nel loro portafoglio, si rischia seriamente di togliere anche il diritto all’istruzione. Peggio che ai tempi della Legge Coppino che nell’anno 1877, limitò la libertà d’insegnamento e istituì di fatto una tassa pagata dai più poveri per pagare la scuola ai più abbienti. La preoccupazione circa l’educazione delle nuove generazioni non è inutile: quello del monopolio educativo da parte dello Stato è un pericolo che si fa sempre più minaccioso, considerato che ormai è evidente che il diritto all’istruzione riparte per alcuni e non per tutti. I grandi esclusi sono sempre gli stessi: i poveri e i disabili. Sul tavolo della Ministra Azzolina le soluzioni c’erano e ci sono, spiegate e dettagliate in ore di dirette nei 200 gg di lockdown, nei numerosi emendamenti dell’opposizione e di parte delle forze al governo stralciati dal governo stesso, perché considerati insostenibili, inammissibili e via discorrendo.

Eppure chi ha buona memoria ricorderà che nel 2014 si invocava la sovranità del popolo, la rottamazione della casta, il Parlamento aperto come una scatola di tonno per controbilanciare anni di baronato della politica. A chi aveva esperienza di conduzione di opere complesse era evidente, già allora, che gli italiani stavano per cadere in una trappola che si sarebbe rivelata fatale. Arriviamo, a distanza di sei anni, al triste epilogo (ampiamente previsto). Negli ultimi due anni ha preso sempre più piede l’abitudine di licenziare manovre finanziarie e decreti importanti oltrepassando la garanzia della democrazia, sopprimendo il confronto in Parlamento E’ paradossale che, dovendo decidere in fretta, by-passare i percorsi della democrazia risulti non solo naturale, ma addirittura passi per un atto legittimo e dovuto. Eppure in quella frase ricorrente, usata come attenuante, “non c’è tempo, siamo in stato di emergenza” si insinua il pericolo di decidere senza una visione di insieme, una progettualità di ampio respiro a beneficio della collettività. La conseguenza è semplice da prevedere: si prendono decisioni limitate a vantaggio di pochi, riproponendo, pertanto, il potere alla tanto vituperata “casta”.

Eppure solo un’ampia trasversalità consentirebbe di intraprendere cammini di riforma effettivamente capaci di giovare ai cittadini, esattamente come è avvenuto per la stesura della Costituzione, quando uomini e donne di cultura e formazione diverse si riunirono per dare all’Italia un futuro. Non fu grazie all’intervento di Togliatti che fu approvato l’articolo 7 della Costituzione che prevedeva l’accettazione dei Patti Lateranensi? Solo per fare un esempio. Ma erano altri tempi. I Padri costituenti uscivano dalla Resistenza, dalle rappresaglie, dalle torture di via Tasso; chi ci governa esce dalle piazze animate dai Vaffaday, ovviamente dopo essersi dati una sistemata al look. I Padri costituenti, consapevoli del loro ruolo istituzionale, non abbandonavano la cravatta neanche in spiaggia… I tempi sono cambiati. La politica inevitabilmente è l’immagine della società. E i risultati politici del cambiamento si vedono.

È notizia del 4 settembre scorso che, con una Memoria scritta nell’ambito delle consultazioni preliminari all’esame del disegno di legge A.S. 1925 di conversione del decreto-legge 104/2020, la Corte dei conti ripete esattamente gli allarmi lanciati dal Presidente della Repubblica, dalla Presidente del Senato e dal dott. Draghi. Detto in estrema sintesi: “Come già osservato in occasione delle precedenti manovre finanziarie, in un contesto di emergenza sanitaria quale quello che stiamo attraversando, la politica di bilancio è chiamata a giocare un ruolo indispensabile”.

E la Corte dei Conti non fa mistero che la scelta di procedere ad erogazioni e ad indennità diffuse è altamente rischiosa perché, come ogni logica di assistenzialismo indiscriminato, non pone le premesse per ripagare il debito e rilanciare il Paese, soprattutto in un contesto di emergenza. Un giudizio aggravato dalla chiara mancanza di progettualità. Difatti tali misure “si innestano in un contesto normativo già frammentario e disorganico che richiederebbe, invece, una riconsiderazione complessiva al fine di costruire assetti normativi efficaci e stabili, evitando il ricorso a interventi che non contribuiscono a risolvere strutturalmente i problemi, ma si limitano a differirli. Essi mancano di un respiro sistematico e ciò non può che creare incertezza nelle amministrazioni”. Evidentemente nell’emergenza è indispensabile dotarsi di una forte progettualità, uno sguardo a lungo termine e agire per priorità. E dunque ci chiediamo: il taglio dei parlamentari per risparmiare sugli stipendi lo è?

Ragioniamoci. Il Parlamento Italiano è composto da 945 parlamentari su una popolazione di 60,36 milioni di persone con un rapporto di un deputato per poco più di 63.000 abitanti: per fare un confronto l’Assemblea Nazionale francese si compone di 577 membri eletti, su una popolazione di 67 milioni di persone, con un rapporto di un deputato per poco più di 116.000 abitanti. Un numero di Parlamentari non solo collegato al numero dei cittadini ma soprattutto pensato come garanzia e presidio garante della democrazia. Occorre infatti ricordare le cause che hanno fatto pensare che fosse necessario assicurare un certo numero di parlamentari. Tagliare il numero dei parlamentari non significa altro che compromettere la democrazia, delegittimare ampiamente il popolo e la sua sovranità. Non sarà che si vuole fare del Covid e dell’emergenza che ne è scaturita la coperta troppo corta che copre i DPCM e i voti di fiducia rivestendoli di forma? Come si potrà consentire a una forza di governo non eletta ma composta con accordi, contratti, trattative, di governare? Semplice: riducendo la sovranità del popolo tramite la riduzione del numero dei parlamentari. Il gioco è fatto.

E non si attacchi con il discorso demagogico del risparmio nel taglio dei parlamentari, cioè cittadini eletti liberamente. Certo, occorre risalire al 2008 per ritrovare l’ultimo governo eletto dai cittadini: dal 2011 si avvicendano “governi tecnici” e “governi accordo”. Forse la preoccupazione dovrebbe essere perciò un’altra: quella che i Parlamentari siano preparati, formati, competenti e non improvvisati. Affidereste mai l’operazione di vostro figlio o di vostra moglie ad uno studente di medicina o ad un commerciale che si è improvvisato medico? Perché allora affidare il governo di una nazione a chi ha fatto altro nella vita?

La prima lezione che il Covid ci ha insegnato è quella di imparare a guardare alla realtà, alle riforme nella loro complessità, perché il prezzo sarà altissimo e lo pagheranno i nostri figli. Il regime non si improvvisa, gli si permette di insediarsi, di erodere dall’interno il sistema politico. In fin dei conti, mutatis mutandis, non fu Giolitti, non certo un inesperto della politica, a fare entrare Mussolini in Parlamento? E poi quale risparmio genera il taglio dei parlamentari per poi pagare consulenti, scelti dal singolo ministro, senza procedura concorsuale. Lo stipendio del “gieffino” Casalino è 169 Mln di euro annui, ben superiore a quello di un Parlamentare. Chi è Casalino? Per quali meriti è stato nominato? A che titolo è il portavoce del Premier? A che titolo i cittadini gli pagano lo stipendio? E la pletora di consulenti nominati solo con criteri di apparteneza? Qual è il costo della mancata democrazia? Incalcolabile. E dunque ci chiediamo: non è forse meglio pagare qualche parlamentare esperto in più e qualche consulente in meno?

Qual è allora la soluzione per uscire da una situazione che si fa sempre più pericolosa? Far funzionare il Parlamento, acquisendo ogni buon consiglio che in questi mesi proviene dalle opposizioni e dagli alleati di governo; ancora: traghettare il Paese verso il superamento dell’emergenza investendo sui giovani, sulla scuola, sulle imprese, sui cittadini, assicurandosi che il debito di oggi sia buono e che ci siano le premesse (che oggi non ci sono) affinché domani venga restituito. E, last but not least, rivedere la legge elettorale, consentendo così ai cittadini di avere i propri rappresentanti effettivamente scelti ed eletti.

In questi mesi l’ideologia ha prevalso e la democrazia ha progressivamente perso terreno. Il Covid ha smascherato l’ideologia per sua natura cosi subdola che il cittadino non attento non si accorge che stanno venendo meno le sue libertà. Invece occorre mettersi di vedetta, impedire che il patrimonio di valori democratici garantito dalla Costituzione vada inesorabilmente disperso, perché attaccato dal virus dell’ignoranza, della superficialità e del pressapochismo. In questo momento della vita politica, culturale, sociale del nostro Paese non possiamo permetterci di modificare ciò che i Costituenti hanno pensato. Non possiamo, non siamo in grado ora di modificare un assetto che ha resistito per più di settant’anni e che ha portato l’Italia ad uscire dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale costruendo una pagina straordinaria di democrazia. Non debemus, non possumus, non volumus.

Per tutte queste ragioni al prossimo referendum io voterò “No”.


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