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No way Huawei. Così Pompeo avverte Erdogan

Gli Stati Uniti l’hanno detto a più riprese a tutti i loro alleati. Ora tocca anche alla Turchia di Recep Tayyip Erdogan, il membro della Nato con cui il rapporto è più complicato: il 5G cinese rappresenta un rischio per la cooperazione militare. Alle divergenze sulle questioni mediorientali di maggior attualità (la normalizzazione araba verso Israele e la “massima pressione” statunitense verso l’Iran), sugli armamenti (F-35/S-400) e sulle attività esplorative di Ankara nel Mediterraneo, nello scontro tra Washington e Ankara si aggiunge il tema della sicurezza informatica.

HUAWEI E NON SOLO

Ad aggiungerlo è il segretario di Stato Mike Pompeo, intervistato dal Washington Examiner. Il capo della diplomazia statunitense ha puntato il dito contro la crescente dipendenza turca da Huawei e altre aziende cinesi. “Il fatto che ci sia una quantità significativa di dati in Turchia ora nelle mani del Partito comunista cinese significa che dobbiamo stare sempre più attenti”. Inoltre, ha messo in guardia Ankara dalla Via della seta e dagli yuan.

Pochi giorni fa Foreign Policy ha pubblicato un interessante saggio dal titolo eloquente:“Erdogan sta trasformando la Turchia in uno Stato cliente della Cina”. Sommario: “Con pochi amici rimasti in Occidente, Ankara conta su Pechino per l’aiuto”. Senza dimenticare che qualche settimana fa il think tank Carnegie definiva il rapporto tra Turchia e Russia come un matrimonio di convenienza.

Ecco cosa scrive la rivista parlando di Huawei: “Designata come minaccia alla sicurezza nazionale negli Stati Uniti e altrove a causa dei suoi legami con il governo e l’esercito cinese, non trova tale opposizione in Turchia. La sua quota nel mercato turco è cresciuta dal misero 3% nel 2017 al 30% nel 2019”. E ancora: “Le accuse sull’uso cinese delle infrastrutture di telecomunicazioni per la sorveglianza e la repressione di Stato sono particolarmente preoccupanti in Turchia, dove la popolazione fa affidamento su Internet e sui social media per ottenere informazioni a causa del controllo severo degli altri canali multimediali”. Foreign Policy osservata poi che un’altra società cinese, Zte, ha rilevato nel 2016 il 48% di Netas, principale produttore turco di apparecchiature per il settore telco e gestore di infrastrutture cruciali come le telecomunicazioni del nuovo aeroporto di Istanbul e la digitalizzazione dei dati sanitari nazionali.

LE BASI NATO

Nelle scorse settimane il senatore repubblicano del Wisconsin, Ron Johnson, membro della sottocommissione per i rapporti con l’Europa, aveva rivelato che gli Stati Uniti stanno valutando di spostare le truppe dalla base turca di Incirlik alle isole greche. “La nostra presenza, onestamente, in Turchia, è minacciata”, aveva dichiarato al Washington Examiner il senatore aggiungendo che gli Stati Uniti stanno aumentando la loro presenza a Souda Bay, sull’isola greca di Creta.

I DIRITTI UMANI

Foreign Policy spiega come per ora il patto sinoturco soddisfi entrambe le parti: Pechino ha un amico nella Nato, Ankara può evitare il ricorso a istituzioni come il Fondo monetario internazionale (che richiederebbe, tra le altre cose, riforme) potendo godere del denaro inviato dalla Cina. In tutto questo, “le vittime dell’emergente partenariato strategico sinoturco sono gruppi come gli uiguri e i dissidenti in entrambi i Paesi”, conclude la rivista. La loro “protezione richiede sistemi politici reattivi in cui i diritti e le libertà sono protetti attraverso istituzioni e processi democratici senza renderli secondari alla sopravvivenza e alla crescita economica”.

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