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Pechino e non solo. Chi e perché frena il dialogo economico Usa-Taiwan

“Disgrazia per Taiwan”. Così il Global Times, una delle voci più battagliere della propaganda cinese, ha commentato la visita del sottosegretario agli Affari economici degli Stati Uniti, Keith Krach. E a corredo dell’editoriale un disegno dello Zio Sam e della presidente taiwanese Tsai Ing-wen, entrambi con gli occhi bendati, che camminano verso un baratro. Soltanto un mese fa il segretario alla Salute statunitense Alex Azar si recò a Taiwan e fu ‘accolto’ dallo sconfinamento di jet cinesi nei cieli dell’isola. Ad ‘accogliere’, invece, la notizia della visita di Krach due aerei antisommergibili cinesi, che sono volati nella zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan ieri. E lunedì, parlando delle voci (che ancora non erano state confermate) della visita, il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin aveva ribadito l’opposizione di Pechino a qualunque scambio formale tra gli Stati Uniti e Taiwan.

LE TRATTATIVE ECONOMICHE…

Il sottosegretario Krach sarà nell’Isola, considerata da Pechino una provincia secessionista, da oggi fino a sabato e parteciperà a una cerimonia in memoria dell’ex presidente taiwanese Lee Teng-hui, soprannominato “il padre della democrazia”. “Gli Stati Uniti onorano l’eredità del presidente Lee continuando i forti legami con Taiwan e la sua vibrante democrazia attraverso valori politici ed economici condivisi”, ha spiegato il dipartimento di Stato annunciando con una nota il viaggio di Krach che giunge a un mese di distanza dall’istituzione, promossa dal diplomatico statunitense David Stilwell, di un nuovo dialogo economico bilaterale (affidato proprio al sottosegretario).

Taiwan spera che il dialogo si trasformi presto in un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, che leghi più strettamente le due economie (anche e soprattutto in chiave anti-Cina). “Resta da vedere se si può iniziare qualcosa su quel fronte”, ha spiegato Bonnie Glaser, direttore del China Power Project presso il Center for Strategic and International Studies, al South China Morning Post. “Ovviamente questo nuovo dialogo è importante, ma Taiwan vuole un vero accordo”. E molti analisti osservano a tal proposito che la spinta a rafforzare le relazioni commerciali è arrivato dal dipartimento di Stato americano e non dall’Ufficio del rappresentante per il commercio, cioè l’ufficio titolato a condurre questo tipo di negoziati. Molto sembra dipendere dal titolare dell’ufficio, Robert Lighthizer, in prima linea per la fase uno dell’accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina, che non pare intenzionato a mettere a rischio la sua eredità politica.

… E QUELLE MILITARI

Il dialogo tra Washington e Taipei però si sviluppa anche su un’altra direttiva: quella militare, con l’intento di entrambi di contrastare l’espansionismo cinese nella regione. La Difesa di Taiwan ha definito le rivelazioni dei media sui piani statunitensi di vendita di armi all’Isola congetture. “L’acquisto di armi in fase di valutazione o negoziazione sarà gestito in base al principio di riservatezza e non sarà divulgato al pubblico, come è consuetudine, fino a quando gli Stati Uniti non lo notificheranno ufficialmente al Congresso”, hanno affermato le autorità di Taiwan commentando le rivelazioni della Reuters secondo cui gli Stati Uniti intendono vendere fino a sette sistemi d’arma all’isola di Taiwan (tra cui mine, missili da crociera e droni).

Come ricorda l’Agenzia Nova, il ministero degli Esteri cinese ha risposto in precedenza alla questione della vendita di armi degli Stati Uniti all’isola di Taiwan e ai tre comunicati congiunti, in particolare quello del 17 agosto, affermando che violano gravemente il principio della Cina unica, minano la sovranità e la sicurezza della Repubblica popolare, nonché norme fondamentali delle relazioni internazionali. A luglio, il dipartimento di Stato Usa ha approvato una richiesta di Taiwan di ricertificare i suoi missili Patriot Advanced Capability-3 per un costo stimato di 620 milioni di dollari. A seguito dell’iniziativa, la Cina ha imposto sanzioni al principale appaltatore della vendita, Lockheed Martin, per proteggere i suoi interessi nazionali.

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