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Il Pd rilancia le riforme per il dopo referendum. Alleati (molto) scettici

Raccoglie il consenso di Andrea Romano, portavoce di Base Riformista, di Maurizio Martina e del deputato e capogruppo Pd in commissione Affari Costituzionali della Camera e portavoce dei democratici per il Sì Stefano Ceccanti e ancora la già ministra della Difesa Roberta Pinotti la proposta di riforme istituzionali presentata oggi dal Partito democratico. Bicameralismo, poteri del presidente del Consiglio e sfiducia costruttiva alcuni dei punti che verranno presentati alle camere nei prossimi giorni. A non guardarla di buon occhio, invece, +Europa e Italia Viva.

IL PLAUSO DEI RIFORMISTI

“L’iniziativa del Pd per una proposta di riforma istituzionale organica è un passo ulteriore sulla strada dell’impegno per riformare e rafforzare la nostra democrazia”, ha detto Andrea Romano, deputato del Pd e portavoce di Base Riformista. “Il Pd è il partito del riformismo istituzionale – prosegue – e ha la responsabilità storica di riattivare il cantiere delle riforme. La sconfitta del dicembre 2016 ha bloccato per un periodo importante la necessaria manutenzione costituzionale. Nel momento in cii il PD per realismo politico accetta il terreno della riforma per tappe e sostiene con forza la prima di queste tappe, il Sì al referendum, giustamente non rinuncia a proporre a tutti un disegno ambizioso su cui lavorare subito dopo la vittoria del Sì. Da qui la nostra proposta organica, su cui attivare la nostra comunità politica e chiamare al confronto le altre forze politiche”. Una linea sposata anche dal deputato Pd Stefano Ceccanti, che sottolinea come la “seconda metà della legislatura deve essere l’occasione propizia per un reale aggiornamento delle istituzioni reso possibile grazie alla propulsiva vittoria del Sì”.

“La riduzione dei parlamentari, così come la riforma della legge elettorale e l’equiparazione dell’elettorato attivo del senato con quello della camera, sono alcuni dei tasselli di una riforma più ampia che il Pd intende portare avanti nell’interesse dei cittadini e del funzionamento degli organi dello Stato”, ha sottolineato Roberta Pinotti, responsabile Riforme della segreteria Pd.

A CHI NON PIACE LA RIFORMA

A non gradire, però, la proposta del Pd, Italia Viva. Non tanto nel merito, ma per le tempistiche. “Oggi il Pd si allinea alla nostra posizione e annuncia la presentazione di una proposta di legge: ci fa piacere che sia stata colta la sollecitazione di Italia Viva. Tuttavia è evidente che qualsiasi proposta su questi temi presentata a una settimana dal referendum e dalle elezioni regionali, ha il sapore di un’azione elettorale”, ha sottolineato il deputato di Italia Viva Marco di Maio, capogruppo in commissione Affari Costituzionali.

Critiche nel merito, invece, da +Europa: “Il progetto di legge di iniziativa popolare in materia costituzionale annunciata oggi dal Pd è un segno della totale confusione politica e mentale in cui al Nazareno sono precipitati i difensori del Sì al referendum”.

LA PROPOSTA DI RIFORMA DEL PD

Al primo punto viene prevista l'”introduzione, in analogia con il modello tedesco, dell’istituto della sfiducia costruttiva”, con lo scopo di rafforzare l’esecutivo, così come l'”attribuzione al presidente del Consiglio dei ministri del potere di proporre al Presidente della Repubblica non solo la nomina bensì anche la revoca dei ministri”. Due riforme, si legge ancora, “in grado di rafforzare la stabilità dei governi in presenza di una legge elettorale proporzionale ad alta soglia come quella alla base dell’accordo di maggioranza”.

Nel secondo e terzo punto ci si concentra sulla modifica del bicameralismo perfetto attualmente in vigore e il rafforzamento, dunque, delle funzioni del Parlamento riunito in seduta comune. A quest’ultimo sarebbero affidate  competenze quali “il voto di fiducia del presidente del Consiglio dei ministri entro dieci giorni dalla sua nomina da parte del Presidente della Repubblica; la votazione di mozioni di sfiducia costruttiva; l’approvazione della legge di bilancio e del rendiconto consuntivo; l’autorizzazione all’indebitamento; la formulazione di indirizzi al governo nell’imminenza di riunioni del Consiglio europeo; l’approvazione delle leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali; l’approvazione dei trattati internazionali”.

Il terzo punto si concentra quindi sulla previsione di diverso ruolo e funzioni di Camera e Senato. Il Senato, si legge, “continua ad essere eletto a suffragio universale” ma verrebbe “permanentemente integrato con la presenza di un senatore per ogni Consiglio Regionale o di Provincia Autonoma, eletto con maggioranza qualificata e titolare di tutte le prerogative proprie degli altri senatori salvo quelle relative al Parlamento in seduta comune”.

Il Senato, quindi, sarebbe caratterizzato dall’avere un numero di rappresentanti delle Regioni e delle Province Autonome ma anche dal fatto di detenere in esclusiva il potere di inchiesta e di avere un potere significativo sui principi della legislazione concorrente e sul federalismo fiscale (superabile dalla Camera solo a maggioranza assoluta dei componenti), mentre la Camera verrebbe riservato il voto finale su tutte le leggi tranne quelle rientranti nelle già citate attribuzioni del Parlamento in seduta comune.

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