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Il No al referendum? Per ragioni economiche. Scrive il prof. Pennisi

Voterò No al referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari non solo per le motivazioni giuridiche espresse nella lettera-appello di circa duecento costituzionalisti ma anche, e forse soprattutto, per un tema su cui si è poco discusso e sul quale pochi si sono soffermati: le sue implicazioni in termini di politica economica.

Il referendum sulla riduzione del numero dei parlamentare non è, come sostengono, in questi giorni i rappresentanti del Movimento Cinque Stelle (M5S) e le altre forze politiche favorevoli al Sì, il grimaldello per rendere più efficiente e più efficace il legislativo. Ed è, invece, il primo di tre passi per sostituire la democrazia rappresentativa con una di stampo peronista-madurista, un sistema istituzionale le cui implicazioni economiche si toccano con mano in Argentina ed in Venezuela.

Il disegno di legge costituzionale è il primo di una strategia a tre punte, La seconda punta è il disegno di legge costituzionale sull’iniziativa legislativa popolare, un disegno di legge che già in corso di esame in Parlamento. La terza è l’idea, ancora non articolata in un disegno di legge, è l’introduzione del vincolo di mandato dei parlamentari. E’ sempre stata uno dei caposaldi della “filosofia politica” di Grillo e Casaleggio- Verrà, senza dubbio articolata, quando ci sarà un Parlamento ridotto ed eletto con le nuove norme. Tali norme renderanno fortissima la presa dei leader di partito/movimento sugli eletti: dipenderà esclusivamente o quasi dai leader chi potrà essere nelle liste elettorali ed avere, quindi, la possibilità di entrare in Parlamento. Una volta con un Parlamento di “fedeli”, e con il pungolo del referendum di iniziativa popolare per i temi e le proposte di maggior appeal , sarà semplice, quasi banale, introdurre il vincolo di mandato. E rendere il Parlamento in pratica irrilevante.

Di questo assetto, è facile vedere le conseguenze economiche: potere decisionale in poche e pochissime mani, costrette, però, ad una politica economica smaccatamente populista al fine di restare in sella, un’oligarchia prigioniera dei propri elettori e costretta a cedere agli impulsi più demagogici e più populisti (quali il così detto “reddito di cittadinanza”) senza il filtro di un dibattito parlamentare. Ne abbiamo avuto, e ne abbiamo, esempi soprattutto in America Latina. Non voglio che l’Italia entri a fare parte di tale laboratorio.

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