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Referendum, il fronte del No ha già vinto. L’avv. Pruiti Ciarello spiega perché

Di Andrea Pruiti Ciarello

Quando nei primi giorni di ottobre 2019, come Fondazione Luigi Einaudi, lanciammo la proposta di chiedere l’indizione del referendum costituzionale sulla legge cd. Taglia parlamentari, ricevemmo da parte di tutti sorrisetti e sfottò. Dicevano che non saremmo mai riusciti a mettere insieme le firme necessaria per chiedere l’indizione del referendum popolare e avevano ragione, riuscire a raccogliere 500.000 firme in tre mesi è impresa impossibile per qualunque organizzazione politica, figuriamoci per una fondazione culturale, impegnata con esiguità di risorse a diffondere la cultura liberale in questa nostra nazione, sferzata dai peggiori venti demagogici e populisti. Roba da dinosauri si direbbe!

Abbiamo pensato, però, che l’amplissima maggioranza che si era coagulata attorno a questa proposta di riforma costituzionale nella quarta e definitiva votazione alla Camera dei Deputati, rappresentava una colpa da lavare con uno slancio libertario da parte dei rappresentanti del popolo, che a nostro avviso erano rimasti vittima di quella retorica populista che aveva avvelenato i pozzi della politica italiana da qualche decennio. Una furia iconoclasta e autolesionista, inspiegabile con la ragione e forse sintomo clinico di un parlamento che non funziona più.

Fu così che lanciammo l’iniziativa della raccolta delle firme nelle due camere, con l’obiettivo di raggiungere la soglia di un quinto dei componenti di almeno una delle due camere, per dare ai cittadini italiani la possibilità di dire la loro su una riforma che non riguarda i parlamentari, né i loro “privilegi”, ma riguarda solo la compressione del diritto di rappresentanza politica dei cittadini. Ad Andrea Cangini, Nazario Pagano e Tommaso Nannicini va ascritto il merito di avere subito sposato la causa e di non avere risparmiato energie nella ricerca di nuovi sottoscrittori. Ci ritrovammo, dopo qualche settimana a veleggiare intorno a 50 adesioni da parte dei senatori di diversi schieramenti, provenienti principalmente da Forza Italia. I sorrisi e gli sfottò cessarono e ci cominciarono a guardare con sospetto e anche con un po’ di timore. Alla vigilia della scadenza del termine (tre mesi dalla pubblicazione della Legge Costituzionale), avevamo ben 69 firme di senatori sulla richiesta di indizione del referendum, sembrava fatta, tra queste si annoverano stranamente anche cinque firme di senatori del gruppo del movimento cinquestelle. Firme che avevano creato qualche perplessità fin dall’inizio e che furono ritirate a poche ore dalla scadenza del termine di deposito dell’istanza. Certo è legittimo il diritto di ripensarci, però ai malpensanti è sembrato davvero un tentativo di sabotaggio. Grazie alla sottoscrizione, in zona Cesarini, di sette senatori della Lega, raggiungemmo il numero di 71 firme, che garantirono la validazione dell’istanza da parte dell’Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione.

All’inizio della campagna referendaria, prima dell’era Covid, i sondaggisti ci guardavano con aria di sufficienza, il NO era dato al 2% contro il SI al 98%, dicevano che il referendum sarebbe stato solo una perdita di tempo e politicamente avrebbe rafforzato i cinquestelle con un plebiscito senza precedenti. Abbiamo risposto che sulla restrizione dei diritti di rappresentanza dei cittadini potevano e dovevano pronunciarsi gli stessi cittadini. Il referendum era una battaglia eticamente giusta, che meritava essere combattuta, indipendentemente dal risultato. Si, in Italia c’è ancora qualcuno che crede che sia giusto spendersi in una battaglia di principio, al di là della convenienza, al di là del risultato.

Senza scomodare il bushido, l’etica del samurai, se ci sono battaglie sempre giuste, sono quelle a difesa dei diritti, a difesa del valore del voto, a difesa del parlamentarismo, contro una visione demagogica e populista della politica, che parla solo alla pancia delle persone, pensando che siano prive di intelligenza. Noi abbiamo creduto e crediamo che invece la gente è dotata di cervello e, nonostante il mal di pancia, nel baratto tra perdita di rappresentanza politica e prendere un caffè in più all’anno, sia pronta a rinunciare al caffè.

A poche ore dalla celebrazione del referendum, il risultato referendario è contendibile! Il fronte del SI non è certo di farcela e il fronte del NO è animato dal cuore di chi, dopo una lunga corsa, spende le ultime energie in vista del traguardo finale.

Indipendentemente dal risultato finale, questa condizione rappresenta già una vittoria ed è fonte di soddisfazione per chi, nella battaglia a difesa della Costituzione, ci ha creduto fin dall’inizio.

Una cosa è certa, l’Italia ha bisogno di riforme, serve superare il bicameralismo perfetto, serve rilanciare il mercato del lavoro, partendo dalla semplificazione burocratica e dalla riduzione del cuneo fiscale, serve riallacciare le fila del rapporto tra politica e cittadini, magari con la reintroduzione delle preferenze nella legge elettorale. Questo parlamento saprà andare in questa direzione?


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