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Referendum, Regionali e due idee per domani

Il risultato del Referendum non lascia dubbi: il sì vince con una schiacciante maggioranza, in Italia come nella circoscrizione estero. Complessivamente il dato è 69,96% a favore ed il 30,04% contrario. A livello di elezioni regionali abbiamo un “pareggio” dal punto di vista matematico con tre regioni al centro-destra e tre regioni al centro-sinistra. Il dato politico, però, è un altro. Di seguito due riflessioni generali e qualche idea per le prossime azioni che, secondo me, andrebbero intraprese:

REFERENDUM COSTITUZIONALE, VINCE IL SI

Lo scontro che si è consumato tra difensori del sì e del no ha messo in secondo piano il nodo centrale della questione. La riduzione del numero di elette/i non era un tabù, il punto riguardava le conseguenze che questa riforma avrebbe avuto nel nostro attuale sistema.

In tanti hanno fatto riferimento alla Germania che, nonostante una più grande popolazione, ha un numero di elette/i inferiore. La realtà è che il numero di membri del Bundestag è fissato con un “minimo”. Il numero varia, infatti, da legislatura a legislatura per via di alcuni aggiustamenti tecnici dovuti alla modalità di funzionamento la legge elettorale. La base minima è di 598, ma ad oggi, per esempio, ci sono 709 seggi al Bundestag.

C’è da dire un’altra cosa, la Germania ha una legge elettorale particolare e che funziona da anni senza che un colore politico per capriccio l’abbia snaturata, e ha una legge sui partiti che impone regole comuni chiare anche sulla modalità con cui si selezionano le candidature. Questi sono i due elementi fondamentali del modello tedesco, cosa che in Italia non accade per più di una ragione:

(1) le segreterie dei partiti vogliono massima libertà di scelta nelle liste, così a determinare le candidature non sono le assemblee di partito, ma i leader (cf. esperienza PD del 2018 e relative polemiche);

(2) i criteri dominanti sono quelli economici – hai soldi per farti una campagna elettorale, visto che il finanziamento pubblico non c’è più, sì/no? – e quindi tra simpatie, amicizie e disponibilità economiche la rappresentanza è sempre un po’ menomata, su 945 elette/i era un po’ più complicato, su 600 ora sarà decisamente più semplice. Per questo, servono due interventi rapidi ed urgenti per evitare che si creino ulteriori sbilanciamenti nella rappresentanza democratica, visto che ora i processi di selezione delle candidure di democratico hanno poco o nulla.

Nella circoscrizione estero il voto a favore del sì è stato ancora più forte che in Italia. I dati dicono che ha votato a favore il 78,24% contro un 21,76%. Questo nella consapevolezza – o forse no – che per l’estero la rappresentanza sarà letteralmente dimezzata. Non dirò troppo su questo, perché vivendo la realtà delle italiane e degli italiani all’estero, dovrei scrivere parecchio. Mi limito a due osservazioni:

(1) l’incapacità delle strutture di partito all’estero di arrivare all’elettorato, probabilmente, in forte espansione, ma con esigenze sempre più diversificate e che non rispondono più ai modelli del passato, anche in tema di rappresentanza;

(2) la scarsa qualità di elette/i che negli anni abbiamo, dall’estero, mandato in Parlamento, che non hanno curato evidentemente relazioni, se non per i propri interessi personali. Cito solo un caso: il Senatore Razzi, un’icona trash, e un tributo all’incapacità e al senso di ridicolo. Ma la realtà delle comunità italiana all’estero è molto di più, e meritava una rappresentanza di maggiore qualità e serietà.

In conclusione, il Partito Democratico ha adesso un compito molto importante da portare a termine, ossia la realizzazione delle riforme istituzionali necessarie a rendere il sistema politico italiano efficiente, democratico e serio:

(1) discussione di una legge elettorale che tenga insieme governabilità e rappresentanza come principi base e congiunti: una componente eletta su collegi non grandi sul modello uninominale secco e una componente proporzionale con sbarramento non inferiore al 4%, per evitare la dispersione e il fatto di trovarsi 1-2 rappresentanti di questa o quella formazione in un potenziale mercato delle vacche; cosa che sappiamo essere già accaduta. Se seguiamo il sistema tedesco le proporzioni sono 50% uninominale e 50% voto proporzionale alle liste bloccate;

(2) discussione di una legge sui partiti che imponga un certo set di regole comuni, per chi vuole legittimamente partecipare alle competizioni elettorali. In Italia va di moda fare carrozzoni elettorali che durano il tempo di raccogliere voti, per poi implodere. Non c’è accountability tra eletti e propria circoscrizione, e in troppi agiscono svincolati da quella che è una logica di partito. La qualità della democrazia è la vera posta in gioco di tutto questo, quindi serve necessariamente una legge che dia ai partiti, che ne sono gli strumenti, la forma adeguata: imporre che le selezioni avvengano tramite competizioni interne a livello di circoscrizione, dove il livello nazionale non debba intervenire per piazzare i propri nomi, ma che le candidature siano espressione dei territori e che abbiano l’ok delle rispettive assemblee territoriali e/o regionali.  Con un voto chiaro per ogni posto in lista. E senza eccezioni: deve accadere nel PD, come nel M5S o in FdI. Questa è la logica.

REGIONALI 3:3, MA IL PD NE ESCE RAFFORZATO, LA LEGA MENO

Il dato politico è molto chiaro: il PD, partito che doveva scomparire secondo alcuni, non solo è vivo e vegeto, ma combatte e porta a casa discreti risultati politici nonostante le scissioni del passato ed i tentativi maldestri di alcune formazioni politiche che si dicono essere alleate (M5S-Italia Viva o +Europa) e che poi si candidano contro, con un effetto chiaro: favorire le destre.

Il M5S resta sui livelli territoriali quasi inesistente, segno che negli anni non si è radicato minimamente. A livello nazionale è in caduta libera, ma mantiene quella % che gli garantisce – o garantirebbe, se la cosa regge – di essere partner di minoranza in un governo di coalizione.

Italia Viva, che doveva essere faro di un eventuale terzo polo liberale con Azione di Calenda e +Europa di Bonino, incontra la realtà: irrilevante. In Puglia, dove mette un nome di peso di livello nazionale, Scalfarotto, tenta di sgambettare Emiliano. Il risultato è che IV in Puglia raccoglie l’1% e Scalfarotto l’1,6% e va peggio in Veneto dove non ha lo 0,7%.  Ottiene risultati migliori nelle coalizioni: 4,4% in Toscana, dato comunque deludente se si pensa al fatto che lì ha la base Matteo Renzi, e in Campania dove invece spopola, anche grazie al fatto che sul logo ha scritto DE LUCA.

Il PD è il primo partito in Toscana (34,71%), in Campania (16,97%), in Puglia (17,28%) e anche in Liguria (19,8%), nonostante la sconfitta. In Veneto è il secondo partito (12%). Di fatto, il PD è l’unico partito che può rappresentate in modo concreto un’alternativa alle destre in Italia. Ed è senza ombra di dubbio il perno delle coalizioni del centro-sinistra. Non c’è nessun’altra formazione in grado di garantire tutto questo. I risultati negativi di IV, Azione e +Europa in molti contesti locali e regionali può spingere elettrici-elettori di quelle formazioni a “tornare” verso il PD. Sarà compito del PD trovare gli argomenti giusti. Ci tengo a dirlo: con zero interesse per i leader di quelle formazioni, altrimenti si creerebbero, di nuovo, tensioni nocive.

La Lega non è andata bene. Ottiene % irrisorie in Campania (5,55%) e in Puglia (9,58%) dove è superata da FdI della Meloni, il partito che credo più di tutti nella destra ha guadagnato e si è consolidato sui territori. Infatti, è al 12,6% in Puglia e al 5,97% in Campania. Irrilevante Forza Italia ormai. In Liguria è la lista Toti a raccogliere il maggior numero di voti. Seguono la Lega al 17% secondo partito e FdI al 10,8%. In Veneto accade un fatto interessante: la Lega è al 16,91%, un risultato non brillante, FdI al 9,55%. La lista Zaia, invece, ottiene il 44,58%. Potrebbe essere un modo per Zaia di imporsi nella leadership nazionale. Su questo torneremo. Infine, in Toscana la Lega ottiene il 21,78% dei voti, secondo partito in regione seguito da FdI al 13,5%.

In conclusione, abbiamo un quadro politico molto variegato, ma le tendenze sono essenzialmente tre:

(1) si consolida l’area di centro-sinistra attorno al Partito Democratico, unica forza capace di rappresentare un’alternativa per le destre e che possa garantire un governo al paese. Si tratta di un successo non da poco per il PD, un partito che in tanti hanno cercato di annichilire, evidentemente senza successo. Significa anche che il progetto del PD mantiene il suo senso e può aspirare a crescere laddove l’astensione è stata alta, per evitare che quelle elettrici ed elettori diventino terreno di conquista per i populismi e le destre. Infine, si tratta di una vittoria per Zingaretti che consolida la sua leadership nel PD.

(2) si consolida la destra nazionalista di Meloni, che diventa componente determinante delle coalizioni di centro-destra. La Lega resta forte, mentre Forza Italia è ormai sbiadita. Si tratta di un blocco purtroppo maggioritario in termini % a livello nazionale, ma il crollo della Lega dal 2019 ad oggi è positivo. In un’eventuale campagna elettorale una vittoria delle destre non è più tanto scontata.

(3) il M5S resta l’ago della bilancia, a cui certamente il PD guarda e dovrà guardare per poter creare una coalizione di governo. Resta però un movimento inesistente sui territori e sempre più debole a livello nazionale. Per il suo bene, dovrebbe dare un cambio radicale alla sua dirigenza nazionale. Di Maio rappresenta un problema per il M5S, se non lo comprendono, andranno sempre peggio.


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