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La via stretta di Salvini. La bussola di Ocone

Politicamente, la strada è molto stretta. Ma, a un anno dall’uscita dal governo, Matteo Salvini la sta cominciando a percorrere, sembrerebbe. È la strada di un’opposizione che non conceda nulla al governo e alla maggioranza ma che provi a costruire un percorso che faccia uscire dall’isolamento la Lega, e in sostanza tutto il centro-destra (o destra-centro) italiano. Ovviamente, alla sinistra e al governo fa comodo un Salvini “barbaro”, “impresentabile”, da rendere innocuo con un “cordone sanitario”. Il compito del segretario della Lega è perciò di scansare possibili incidenti di percorso, azioni e comportamenti che agli altri sarebbero perdonati e a lui no.

Di provocazioni, più o meno preparate, come quella della donna che lo ha insultato e aggredito l’altro giorno in Toscana, ce ne saranno, ma tutto sta a non rispondere ad esse, a non cadere nel gioco di chi non vuole che la Lega ritorni in gioco. Proprio l’episodio di Pontassieve dimostra però che Salvini, che ha ricevuto la solidarietà di tutti i leader politici (tranne Conte), ha acquistato un self control invidiabile per un sanguigno come lui: non ha strumentalizzato l’episodio, non ha calcato su di esso, né ha fatto riferimento alla condizione di immigrata (con regolare permesso) della donna che lo ha aggredito. Sarebbe stato controproducente e stupido visto che il brutto episodio una copertura mediatica già lo aveva avuto.

Un Salvini “tranquillo” sortisce paradossalmente l’effetto di innervosire proprio i suoi avversari, le cui grida contro l’“appestato”, nel momento in cui non hanno una base reale di appoggio, finiscono per apparire solamente strumentali. Come è stato il caso di quella di certa intellighenzia che poco ha gradito la sua presenza (pagante e con tanto di giovane e splendida fidanzata “acqua e sapone” al seguito) al Lido di Venezia. Salvini ha capito, forse, in questi mesi, che i voti vanno conquistati (e lui in questo è maestro) ma anche fatti pesare, non tenuti in congelatore. Una netta vittoria alle regionali potrà sicuramente giovare. C’è poi il look, che nell’epoca della politica-spettacolo ha un immediato riscontro simbolico (in verità lo ha sempre avuto, in altre forme e intensità: si pensi ai vestiti “regali” dei sovrani di un tempo). Il papillon, addirittura; e poi gli occhiali, la camicia bianca… Il torso nudo del Papeete è solo un ricordo! E che dire dell’intervento al forum Ambrosetti, che ha conquistato un uditorio sulla carta molto di parte, che ha tributato a colui che da ministro degli Interni aveva snobbato quel palcoscenico (effettivamente un po’ démodé!) un caloroso applauso? D’altronde, la via produttivistica, diciamo così, che non può non piacere ai presenti a Cernobbio, è una prateria che si apre davanti a Salvini considerata la tonalità distributivistica dell’attuale governo. Perché non seguirla fino in fondo? Checché ne pensino gli ideologi del liberismo, il mercato ben si concilia con la rivendicazione della sovranità e dell’interesse nazionali.

Ritornando alla via stretta di cui dicevo all’inizio, c’è però da considerare due elementi importanti: da una parte, la Lega di Salvini non deve “normalizzarsi”; dall’altra, deve però riformulare il suo rapporto con l’Europa. Dal primo punto di vista, si tratta di svolgere un’azione di critica senza sconti al governo, e anche di controllo: si può essere “forti” nei contenuti e “civili” nei modi, anzi in certi momenti sono proprio questi ultimi che fanno acquistare forza e credibilità ai primi. Da questo punto di vista, la lettera al Corriere della Sera di domenica scorsa, in cui il leader della Lega chiedeva conto al governo degli errori compiuti nel periodo dell’emergenza sanitaria, può considerarsi riuscitissima. Dal secondo punto di vista, un passo avanti nel senso della chiarificazione è necessario anche in considerazione del fatto che in Europa molte cose sono cambiate negli ultimi tempi (anche nel senso che l’Unione ha introiettato alcune istanze “sovraniste”): in politica non si può restar fermi se gli altri si muovono.

Oggi, a mio avviso, bisognerebbe affermare con forza che si è disposti a cedere sovranità ma ad un’entità democratica e in forma democratica (e rispettosa delle diversità dei popoli e delle nazioni che compongono il nostro continente). Non l’antieuropeismo, ma un altro e diverso europeismo (più democratico e più liberale). Certo, il percorso, ripeto, soprattutto da quest’ultimo punto di vista, è molto complicato, e sarà sicuramente, ma forse i buoni uffici di un Draghi (sembra che Giorgetti lo incontrerà presto) potranno far sparire alcune incomprensioni e reciproche rigidità. Soprattutto dalle parti del Partito Popolare, che, a ben vedere, con un’Europa socialisteggiante (seppur in senso “postmoderno” e ambientalistico in senso a volte ideologico) poco ha a che vedere.

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