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Precipita un jet cinese. Guasto tecnico, abbattimento o fake news?

“Notizie assolutamente false” e “forse deliberatamente diffuse”. Così il ministero della Difesa di Taiwan smentisce l’ipotesi di abbattimento del jet cinese Su-35. Ipotesi che continua a circolare sui social con particolare insistenza da account indiani (Nuova Delhi e Pechino sono ai ferri corti su tanti dossier), e che nelle scorse ore ha fatto temere alla peggiore escalation possibile nel Mar cinese meridionale.

L’ACCADUTO

Un caccia cinese, probabilmente un Su-35, sarebbe precipitato nella provincia di Guangxi, sulla Cina continentale. In attesa notizie ufficiali e conferme, i video e le immagini del velivolo a terra sono bastate per inondare Twitter di ipotesi. Le prime fonti riportavano infatti l’abbattimento del caccia cinese ad opera del sistema di difesa aerea dell’isola, che avrebbe portato l’aereo a cadere “nei pressi di Taiwan”. Sono seguite notizie secondo cui Pechino avrebbe attribuito le cause a “un guasto tecnico”, accompagnate da altre per cui gli Stati Uniti avrebbero messo in allerta le forze presenti nell’area. Infine, è arrivata la nota della Difesa di Taiwan: l’abbattimento è “fake news”, forse addirittura “un tentativo deliberato confondere il pubblico”, per cui è arrivata la “condanna” di Taipei.

IL CASO

La notizia è rimbalzata su Twitter nella mattina italiana. Un video mostra la scia dell’aereo caduto. In un altro c’è il pilota a terra, soccorso, vivo, ma con ogni probabilità gravemente ferito. Si dice che  il caccia potrebbe aver violato lo spazio aereo taiwanese durante il suo volo sul Mar cinese meridionale. L’aereo sarebbe comunque poi precipitato nella provincia meridionale di Guangxi, in Cina, non la più vicina a Taiwan (le rispettive capitali distano 1.363 chilometri in linea d’aria).

Il Su-35 è l’aereo più avanzato attualmente in servizio per l’Aviazione cinese.

IL VELIVOLO

I primi quattro velivoli Su-35 sono arrivati dalla Russia a gennaio 2017, nell’ambito del contratto, concluso due anni prima, che prevede la fornitura di 24 Su-35 per un valore complessivo di circa 2 miliardi di dollari. Caccia multiruolo da combattimento definito di quarta generazione avanzata (o 4++), il Su-35 in mani cinesi preoccupa da sempre gli americani. Rispetto alle forze cinesi del 2015, ha rappresentato un salto di qualità non indifferente sia in termini tecnologici, sia nell’aumento del potere aereo e di deterrenza, con particolare riferimento proprio alle dispute che riguardano il Mar Cinese Orientale e quello meridionale.

LA SITUAZIONE

I timori di pericolose escalation sono legati allo stato dei rapporti tra Cina e Taiwan, critico da sempre, ma che ha trovato nelle ultime settimane un suo inasprimento visto anche il supporto degli Stati Uniti all’isola di Formosa. D’altra parte, la posizione di Pechino resta invariata dal 1949, quando la Repubblica popolare cinese cessò di riconoscere la Repubblica di Cina, trasferitasi di fatto sull’isola. Un anno fa, veniva rilasciato il nuovo documento strategico intitolato “La Difesa nazionale cinese nella nuova era” (con una sintesi in inglese, proprio per mandare ai competitor messaggi chiari). Tra gli obiettivi, si esplicitavano l’opposizione e il contenimento alla “indipendenza di Taiwan”.

LA POSIZIONE DI WASHINGTON

Nel frattempo, tra 5G, scontri commerciali e Hong Kong, la tensione tra Washington e Pechino è cresciuta considerevolmente negli ultimi mesi, trovando da inizio luglio un’estensione negli affari militari piuttosto importante. Il 2 luglio, 400 paracadutisti americani hanno popolato l’area della base Andersen di Guam, isola militarizzata nel Pacifico. Negli stessi giorni, nel Mar cinese meridionale due portaerei Usa si sono esercitate al largo delle Filippine, con un bombardiere B-52 avvistato nella stessa zona. Come notava allora Formiche.net, “gli Stati Uniti hanno individuato nel Mar cinese l’ambito esiziale del contenimento cinese, con effetto allargato che arriva fino alla Greater bay area (progetto strategico del Partito-Stato dietro alla forte volontà di controllare Hong Kong) e a Taiwan”.

MILITARIZZAZIONE CRESCENTE

In termini di militarizzazione, il Dragone non è certo da meno. A metà aprile, in piena emergenza Covid-19, la Marina cinese ha varato a tempi record la sua seconda Type 075, nave d’assalto anfibio che concorrerà a potenziare la proiezione su tante acque contese. A metà luglio, il Dragone aveva minacciato sanzioni su Lockheed Martin per la possibile vendita di Patriot a Taiwan (in passato lo stesso è accaduto su General Dynamics e Honeywelle International). Una vendita che per Washington significherebbe garantire al sistema di difesa missilistica taiwanese di restare operativo per altri trent’anni. “Il cliente – spiega a riguardo l’agenzia del Pentagono per la cooperazione in materia di sicurezza – utilizzerà questa capacità come deterrente per le minacce regionali e per rafforzare la difesa nazionale”.

AFFARI MILITARI

Obiettivo che non piace alla Cina, anche perché consolida l’asse tra Washington e Taipei. Come riporta l’autorevole istituto svedese Sipri, il 100% dell’import militare di Taiwan (seppur in calo del 41%) è provenuto nel 2019 dagli Stati Uniti. A maggio, il dipartimento di Stato americano ha approvato la possibile vendita di 18 siluri MK-38 nella loro ulima versione, assetti utili nella competizione in campo navale. Lo scorso anno, Taipei ha ordinato dagli Usa 108 carri armati e 66 caccia F-16V. La vendita dei Fighter Falcon (che Taiwan utilizza dai primi anni Novanta) infiammò i rapporti tra Pechino e Washington la scorsa estate, tanto da portare la Cina ad annunciare sanzioni nei confronti delle aziende americane coinvolte, tra cui sempre Lockheed Martin. La commessa, fortemente sostenuta da Mike Pompeo, fu descritta dal ministero degli Esteri cinesi come “una seria interferenza ai nostri affari interni, che mina la nostra sovranità e i nostri interessi di sicurezza”.

Articolo in aggiornamento

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