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Taranto e la strategia cinese sui porti italiani. Scrive il prof. Caligiuri

La Cina guarda lontano. Se lo può permettere non essendo una democrazia basata sull’aria che tira. Dopo decenni di meditazione, l’estremo Oriente intende battere l’Occidente sul suo stesso terreno: la logica economica che prevale su qualsiasi altra e le strategie di penetrazione all’incontrario.

La Via della Seta potrebbe essere considerata come una sorta di nemesi contemporanea della Guerra dell’Oppio. Gli Stati Uniti cercano di correre ai ripari e hanno moltissime armi a favore. Tra queste: la supremazia militare, il controllo dello stretto delle Malacche, le più grandi multinazionali finanziarie del globo, le agenzie di rating, i giganti del web, il mainstream globale con i contenuti giornalistici, cinematografici e televisivi, l’influenza dei premi Nobel, delle proprie università e della propria intelligence.

Dopo il crollo del muro, gli equilibri globali sono profondamente mutati e il rigido schema della Guerra fredda è fortemente messo in discussione. Già allora il nostro Paese scontava diversi problemi, scanditi in quarantacinque anni dalla presenza del partito comunista più forte d’Europa, dall’essere una marca di confine con la Jugoslavia, dal rappresentare il terreno della strategia della tensione e di un devastante terrorismo politico, che ci faceva sembrare in alcuni momenti il ventre molle dell’Occidente, con servizi segreti dell’Est e dell’Ovest che avevano solide basi operative sul nostro territorio.

Essendo storicamente e geograficamente un luogo di confluenze diverse, la Cina, che ha una chiara visione strategica, non poteva che giungere fino a noi.

La via della Seta marittima dovrebbe presto approdare in Italia e nel frattempo c’è l’insediamento a Taranto, uno dei porti più importanti del Mediterraneo insieme a quelli di Trieste e di Genova, dove non a caso si è concentrato l’interesse cinese.

Città che vive un brutale problema di identità, nello scegliere tra lavoro e salute, con interventi governativi e legislativi non sempre felici ed efficaci, Taranto sta sperimentando l’arrivo dei cinesi nel proprio porto, dove cinquemila addetti su 8.200 sono in cassa integrazione.

Da questo intervento si attende benessere e in un Paese che rischia di perdere con il coronavirus il 10 per del PIL non è una circostanza irrilevante. Ma dato che, come insegna Milton Friedman, nessun pasto è gratis, i cinesi vengono per guadagnare o almeno per osservare.

A Taranto infatti c’è la base Nato che controlla una parte rilevante del Mare Mediterraneo. È proprio in questo quadro che va inquadrata la visita in Italia dell’attuale segretario di Stato Mike Pompeo, già direttore della Cia nel 2017 e 2018, per affrontare con il governo la presenza cinese in terra di Puglia.

Ma a qualche settimana dal voto delle presidenziali americane, nonostante la questione possa essere molto seria, questa presenza rischia di essere considerata una passerella elettorale. Così non è perché, repubblicano o democratico che sia il prossimo inquilino della Casa Bianca, pone un tema di carattere generale: la politica estera e le alleanze strategiche del nostro Paese. Si tratta infatti di definire qual è il vero interesse nazionale.

Bene hanno fatto i nostri Servizi a monitorare da tempo quanto stava accadendo a Taranto ma poi occorrono le scelte politiche conseguenti. Perché l’intelligence è tenuta a informare tempestivamente e correttamente ma è l’esecutivo che deve agire con provvedimenti efficaci.

Navigare a vista può anche avere i propri vantaggi, ma il rischio di andare a sbattere sugli scogli è sempre molto elevato.

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