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Zingaretti? È a Bruxelles il vero alleato di Conte. La bussola di Ocone

Il paradosso delle elezioni regionali di domenica e lunedì prossimi è che potrebbero finire con una sonora sconfitta per le forze che sostengono il governo senza che ciò abbia un minimo effetto sull’esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Oggi i giornali parlano di un accordo del presidente del Consiglio con Nicola Zingaretti che blinderebbe il governo e che, in caso di sconfitta, eviterebbe anche il rimpasto di cui si era parlato nei giorni scorsi. Non credo tuttavia che sia il leader dei dem il vero alleato forte del premier, quello che gli garantisce la permanenza a Palazzo Chigi. E non è nemmeno Sergio Mattarella, a ben vedere, che teoricamente potrebbe sciogliere le camere e adempiere a quel suggerimento di Costantino Mortati secondo il quale il Presidente della Repubblica dovrebbe trarre sempre le dovute conclusioni quando si verifica una evidente asimmetria fra volontà popolare ed equilibri di governo.

Il fatto è che dai tempi in cui Mortati formulava quelle raccomandazioni son cambiate tante cose, o meglio è soprattutto sopraggiunto un elemento a complicare il quadro. Si tratta dell’Unione Europea, alla quale noi abbiamo in parte ceduto una quota di sovranità, come gli altri Paesi; e in parte un’altra quota, solo noi, l’abbiamo ad essa fortemente condizionata in ragione della necessità impellente di tutele finanziarie di cui abbiamo bisogno per non soccombere sui mercati. Ed è a Bruxelles che probabilmente va cercato il vero e più forte alleato di Conte, che è oggi rappresentato da Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione europea.

Creato un “cordone sanitario” nei confronti delle forze “sovraniste”, vinte le elezioni del maggio dell’anno scorso per un soffio, insediatasi la nuova commissione grazie al voto determinante (non dimentichiamolo) dei Cinque Stelle, è a Bruxelles che si è preparato il terreno per la nascita del secondo governo Conte. Un esecutivo omogeneo, o quasi, alla maggioranza che governa l’Europa. Un “patto del diavolo” che si è fondato, in modo più o meno sottinteso, su uno scambio ben preciso: salvataggio, ovviamente a caro prezzo, del nostro Paese, ma a condizione stabilite rigorosamente non da Bruxelles, come si dice, ma dalla maggioranza che governa Bruxelles. La quale, una volta al potere, non si limita solo a rispettare il “patto” (fosse anche solo per convenienza visto che un fallimento dell’Italia significherebbe probabilmente il fallimento di tutti) ma anche, come si è visto nel discorso della von der Layen sullo Stato dell’Unione, a mettervi condizioni aggiuntive che dal terreno economico si spostano a quello politico e culturale.

L’intenzione è quella di spuntare le armi ai “sovranisti”, o comunque a chi si oppone all’attuale maggioranza, anche facendo proprie alcune loro rivendicazioni e comunque inserendole in un disegno organico di egemonia culturale e politica. Forse Conte è sicuro di sé perché mentre noi continuiamo a ragionare in un’ottica italiana, lui ha capito che la politica di casa nostra è ormai una succursale di quella europea. Ed è lì che egli ha i suoi veri alleati, che lo premiano e lo gratificano anche organizzando un Summit importante sotto la presidenza italiana non considerando nemmeno l’ipotesi che a Palazzo Chigi nel 2021 possa esserci un altro inquilino. Finché dura Ursula dura Giuseppe, sembrerebbe. Non bisogna però mai dimenticarsi che la politica dopo tutto non è una scienza esatta: a volte gli avvenimenti possono prendere una piega non prevista né dalla ragione né dagli stessi protagonisti.


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