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Vi racconto l’Italia delle Virgolino. Il commento di Chiara Buoncristiani

Una nuova icona pop si aggira per gli studi televisivi, muove le masse e fa alzare gli ascolti. È Arianna Virgolino, una poco più che trentenne, che si è trovata a ricoprire un ruolo che in Italia suscita empatia massima: per un tatuaggio, è stata esclusa dal corpo di Polizia.

Non scendo nel merito della vicenda, sviscerata in tutti i versi, dal punto di vista legale. Il punto non è capire se Virgolino sia o non sia stata vittima di un’ingiustizia, ma chiedersi perché in questo nostro Paese sia diventata l’archetipo della vittima.  Tutti tifano Virgolino, almeno tutti quelli che vogliono apparire empatici con il pubblico sentire nazionalpopolare.

Virgolino è l’immagine in cui l’Italia ama rispecchiarsi. È lei che raccontando la propria storia – “ho perso il lavoro della vita per colpa di un formalismo” – mette in scena uno spettacolo. Che funzione ha, dobbiamo chiederci, guardare questa rappresentazione? Quali bisogni segreti stiamo soddisfacendo? Mentre la Virgolino pensa di usare l’opinione pubblica siamo noi che stiamo usando lei. Come si usa un farmaco o come i greci usavano le tragedie, in funzione “auto-terapeutica”. Aristofane che usa le rane per scherzare sul “rompiscatole” Socrate.

Questa aspirante poliziotta grida allo scandalo perché un giudice ha stabilito che il suo tatuaggio a forma di cuore alato non era stato cancellato abbastanza per renderla conforme al regolamento. Ed ecco che il talk show si infiamma: è tutta una protesta contro uno Stato kafkiano, ottuso e capace solo di imballare le nostre vite con vincoli inutili. Ma la catarsi non consiste (solo) nell’arrabbiarsi. L’obiettivo profondo è quello del liberi tutti: demolire l’autorità.

L’Italia dei figli mammoni mai cresciuti è anche l’Italia degli eterni adolescenti invecchiati, ribelli più per impossibilità a confrontarsi mettendoci la faccia che per spirito rivoluzionario. L’Italia delle Virgolino, viene da dire, è l’Italia che evade le tasse perché le tasse sono troppo alte, ma si lamenta se la sanità non funziona e che i treni non sono puntuali. L’Italia che non fa la raccolta differenziata perché “tanto alla fine i rifiuti li scaricano tutti insieme a Malagrotta”.

Se una legge appare obsoleta e assurda, ci si batte per modificarlo. Ma se presentarsi a una commissione esaminatrice con un elemento che, con un giudice scrupoloso, può prevedere l’esclusione significa scarso riconoscimento delle regole. Eppure è una legge che hai accettato quando hai fatto la domanda per il concorso.

Così la Virgolino diventa l’esempio perfetto del nostro malessere verso lo Stato. Uno stato ottuso, anacronistico, che non capisce i veri problemi di noi cittadini. Uno Stato “mamma”, da cui dipendiamo passivamente, come bambini inermi, in cui non ci riconosciamo e che ci fa sbuffare e protestare. La Legge, quella dello Stato “papà” l’abbiamo già disconosciuta,  è ingiusta, va messa fuori gioco. Siamo tutti Arianna Virgolino, in tv, in fila alla posta, sui social o alla fermata dell’autobus che non arriva.



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