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Nuove restrizioni sull’aborto. In Polonia le donne scendono in piazza

Di Giulia Gigante

Nel 1993 la legislazione polacca, in materia di aborto, garantiva l’interruzione della gravidanza in tre casi: il pericolo di vita della madre, lo stupro e una grave malformazione del feto. La sentenza di giovedì 22 ottobre, da parte del Tribunale Costituzionale di Varsavia, esclude il terzo caso, provocando un inasprimento ancora più duro della già molto restrittiva legge sull’aborto

“E così ti sei trovata come a un tavolo di marmo desiderando quasi di morire, presa come un animale macellato stavi urlando, ma quasi l’urlo non sapeva uscire” cantava Francesco Guccini nel non troppo lontano 1976. Il cantautore modenese incise l’angoscia e le rivendicazioni delle donne due anni prima che venisse varata la legge sull’aborto, promulgata in Italia il 22 maggio 1978.

Nel 1993 la legislazione polacca, in materia di aborto, garantiva l’interruzione della gravidanza in tre casi: il pericolo di vita della madre, lo stupro e una grave malformazione del feto. La sentenza di giovedì 22 ottobre, da parte del Tribunale Costituzionale di Varsavia, esclude il terzo caso, provocando un inasprimento ancora più duro della già molto restrittiva legge sull’aborto. Ma andiamo per gradi.

Innanzitutto, è cosa buona e giusta ricordare che dopo la legge voluta ed emanata da “Diritto e Giustizia”, il partito di governo a trazione nazionalista guidato da Jarosław Kaczyński, il sistema giudiziario è divenuto il salotto dell’esecutivo. Per farla breve, la riforma della giustizia sottopone la magistratura al controllo del governo e punisce i giudici che criticano il percorso politico e legislativo della maggioranza parlamentare. I magistrati, infatti, possono essere multati, degradati e licenziati per decisione del ministero della Giustizia. Inutile, sottolineare che la promulgazione di tale riforma ha comportato una brusca critica da parte della Commissione Europea, la quale, nel mese di gennaio, minacciò una sorta di “Polexit”.

Et voilà, qui sorge la prima grande contraddizione del governo polacco: la Polonia, nonostante le posizioni euroscettiche manifestate dagli esponenti del PiS, resta il membro orientale più influente dell’Unione Europea, usufruendo dei finanziamenti strutturali e del sostegno militare della Nato. Ebbene, la presidente della Corte Suprema polacca, Małgorzata Gersdorf, ha classificato il verdetto del Tribunale Costituzionale, in merito alle nuove restrizioni sull’aborto, come “una norma anti-costituzionale”.

In più vi è un ulteriore connubio che sigilla, come il pittoresco abbraccio tra Eros e Thanatos, la sopravvivenza del governo presieduto da Mateusz Morawiecki e il destino della Chiesa polacca. E sappiamo bene che la Chiesa polacca non è la Chiesa misericordiosa di papa Francesco.

Dopo la proiezione di “Hide and seek”, un documentario di Tomasz Sekielski, disponibile su Youtube e incentrato sull’abuso di minori all’interno delle istituzioni ecclesiastiche, i vescovi polacchi si sono riuniti nel monastero di Jasna Gora, a 200 km da Varsavia, per indire una crociata contro le comunità Lgbt e, soprattutto, contro le minoranze omosessuali. È difficile dimenticare le sprezzanti dichiarazioni dell’arcivescovo di Cracovia, Marek Jedraszeski, l’accostamento dell’omosessualità al bolscevismo, la proposta di edificare delle “terapie di conversione” per correggere l’orientamento sessuale dei gay. Insomma, la Chiesa è il maggiore “supporter” dell’agenda politica confezionata dal partito nazionalista e da Konfederacja, forza politica animata dall’antisemitismo di Grzegorz Braun.

Questo è lo scenario che precede il focolaio di proteste esploso a Toruń, Gorzów Wielkopolski, Poznań, Varsavia, Nowy Sącz, Łódź, Katowice e altre cinquanta città polacche. Le donne occupano le chiese, i manifestanti e i parlamentari del fronte democratico invadono i marciapiedi, affrontano i gas lacrimogeni della polizia, protestano nel quartiere di Żoliborz, a pochi passi dalla residenza di Jarosław Kaczyński, protagonista ,in tenera età, assieme al defunto gemello Lech, del film “Quei due che avevano rubato la luna”, e che oggi intende scippare i diritti e il presente alle donne della sua terra.

Tomasz Andrzejewski, analista politico e membro del partito d’opposizione, Razem, dichiara a Formiche.net: “Sono fiducioso che le proteste continueranno a prescindere dalle nuove restrizioni Covid. Lewica, la nostra coalizione, ha sempre sostenuto la liberalizzazione delle leggi sull’aborto e si schiera con la maggioranza dei polacchi che si oppongono a queste nuove norme draconiane, portatrici di sofferenze atroci a tante donne e ai loro coniugi”.
Eccola qui, la solita “Matka Polka” costretta all’eterna resurrezione nel silenzio assordante del Partito Socialista Europeo e dell’opinione pubblica del Vecchio continente. Eroso lo stato di diritto, snobbata la Convenzione di Istanbul, stabilito il divieto dell’aborto terapeutico, cosa ci resta da fare? Possiamo continuare a ignorare questa “piccola storia ignobile, che non merita nemmeno l’attenzione della gente” oppure scegliere di intervenire per la tutela della civiltà europea. Il languore del deep-state dev’essere diretto, non subìto. La storia insegna che la grandezza di un popolo deriva dalla sua capacità di “sentire” le richieste di soccorso dei propri vicini. E la grande Europa, nei secoli passati, non è mai stata sorda.

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