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Biden nel mirino. Così Trump rispolvera il Kiev-gate

Saltato il secondo dibattito presidenziale ‘stile townhall’, sarà duello a distanza in tv questa sera tra Donald Trump e Joe Biden: i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti risponderanno alle domande degli elettori sempre ‘formati townhall’ alla stessa ora su reti diverse: Trump sulla Nbc da Miami; Biden, che l’aveva già programmato la scorsa settimana, da Filadelfia sulla Abc.

La ‘notte dello zapping’, l’ha già definita qualcuno, con una battaglia innanzitutto su chi otterrà più audience. Per il sito specializzato RealClearPolitics, che calcola la media dei principali sondaggi, Trump è però in leggero recupero rispetto ai giorni scorsi, riducendo il gap con il rivale democratico a meno di 10 punti. Un piccolo campanello d’allarme.

Intanto Barack Obama è pronto a scendere in campagna elettorale per dare la spinta finale al suo amico Biden, con un tour in alcuni degli Stati in bilico. La prossima settimana l’ex presidente dovrebbe partecipare a una serie di mini comizi in Pennsylvania, Michigan, Wisconsin e Florida. Al suo fianco potrebbe esserci anche l’ex first lady Michelle, la cui popolarità continua a rivaleggiare con quella del marito.

Ieri, Trump ha concluso il suo trittico di comizi parlando a Des Moines in Iowa, dopo essere stato in Florida e in Pennsylvania. Anche ieri sera, è stato uno show: il magnate a un certo punto ha messo un cappellino con la scritta ‘Make America Great Again‘ e si è sfilato la cravatta rossa lanciandola ai sostenitori in delirio, sbottonandosi un po’ la camicia. “Ora sto molto meglio”, ha poi detto, mentre la folla scandiva lo slogan ‘Four more years’, altri quattro anni.

Sulla campagna, ieri, si sono abbattute le rivelazioni (contestate) del New York Post, in possesso di presunte mai di Hunter, il figlio di Biden, che proverebbero un intreccio di contatti in Ucraina finora sempre negati dall candidato democratico ha sempre negato di aver mai incontrato i responsabili di Burisma, l’azienda ucraina per la quale lavorava il figlio e a suo tempo indagata per corruzione dalle autorità di Kiev. A Des Moines, Trump ha detto: “Joe Biden è un politico corrotto, ha mentito e non gli dovrebbe essere permesso di correre per la presidenza degli Stati Uniti”.

E poi s’è scagliato contro Facebook e Twitter che hanno bloccato la storia del New York Post, in attesa di verificarne la veridicità.  “Terribile – twitta Trump – che abbiano smontato la storia che è una ‘pistola fumante’ contro Joe Biden e suo figlio Hunter. E’ solo l’inizio per loro – minaccia ancora Trump – non c’è niente di peggio di un politico corrotto”.

Twitter ha anche bloccato l’account della portavoce della Casa Bianca, Kayleigh McEnany, che aveva postato l’articolo del Nyp sulle presunte email di Hunter. “L’hanno bloccata solo perché cercava di diffondere la verità”, ha commentato Donald Trump durante il comizio in Iowa. McEnany ha invece parlato di “censura” che non dovrebbe avere posto in America.

Lo scoop del NYP

Il New York Post infatti ha pubblicato alcune presunte email del figlio dell’ex vicepresidente, Hunter, che dimostrerebbero come Biden incontrò un alto dirigente della società energetica ucraina Burisma, azienda nella quale Hunter lavorava. L’incontro sarebbe avvenuto nel 2015, prima delle presunte pressioni esercitate da Biden sul governo di Kiev perché fosse licenziato il procuratore che indagava proprio su Burisma. Le email sarebbero state rintracciate in un personal computer in riparazione.

Insomma, per il clan Trump sarebbe la ‘smoking gun’, la pistola fumante che inguaia il candidato democratico. Ma sulla veridicità dello scoop ci sono molti dubbi, anche perché dietro ci sarebbero Rudolph Giuliani e Steve Bannon, due dei più fedeli alleati del presidente. Per questo anche Facebook ha deciso di ‘censurare’ la storia fino a che non sarà accertata la sua veridicità.

Coronavirus: Melania guarita, pure Barron era positivo

Fronte coronavirus, Melania Trump ha reso noto di essere anche lei guarita, come il marito, e di essere ormai negativa al Covid-19. Nello stesso tempo, la first lady ha rivelato che anche il figlio adolescente Barron, 14 anni, era positivo ed è ora guarito. Melania ha spiegato di avere avuto sintomi lievi che le hanno portato mal di testa, un po’ di tosse e dolori muscolari. Melania ha spiegato come il ragazzo fosse risultato inizialmente negativo al test, dopo che lei e il presidente americano erano risultati contagiati. Ma Barron, testato nuovamente, era poi risultato anch’egli positivo, seppur senza mostrare alcun sintomo. Un successivo test avrebbe certificato la guarigione del quattordicenne.

A differenza del presidente – ha quindi spiegato – è rimasta sempre alla Casa Bianca ed è ricorsa ad un trattamento diverso dal marito, optando per una terapia “più naturale basata su vitamine e cibo salutare”, senza assumere cocktail di medicinali.

Barrett: verso conclusione audizioni Senato

Sarà pure una Figlia di Maria, anzi una ancella del Signore, come si chiamano le fedeli del People of Praise, la comunità ecumenica di cui fa parte; ma non è per nulla politicamente sprovveduta. Anzi, Amy Coney Barrett, la giudice di 48 anni scelta da Donald Trump per colmare il vuoto creato nella Corte Suprema dalla morte di Ruth Bader Ginsburg, ha finora messo nel sacco, nelle audizioni di fronte alla Commissione Giustizia del Senato, sia repubblicani che democratici: delude i primi, che tanto ne voteranno lo stesso la conferma; ed elude le domande dei secondi, che vogliono metterla in difficoltà.

E, in effetti, quand’è già in dirittura d’arrivo – le audizioni, iniziatesi lunedì, si concludono oggi, la Barrett è riuscita a dribblare le domande più che a rispondervi, specie su aborto e Obamacare

Nel novero delle donne contro, s’inserisce con un tweet Hillary Clinton, che non apprezza la Barrett giudice ‘originalista’, che intende cioè richiamarsi alla Costituzione “come fu ratificata”: “Quando la Costituzione fu ratificata – nota Hillary – le donne non potevano votare. Né essere giudici”.

Contro la Barrett, del resto, i democratici evitano d’usare l’argomento dell’integralismo religioso, per evitare di farsi ‘impallinare’ come nemici della libertà religiosa. E con l’elusione e il richiamo ai principi, la Barrett evita pure le trappole che le creano i repubblicani a caccia di trofei – vorrebbero impegni contro aborto e Obamacare.

Se arriverà fin in fondo con un percorso netto, la giudice vedrà vicina la conferma: i repubblicani hanno i numeri in commissione e in plenaria. Le due defezioni finora annunciate, di Susan Collins e Lisa Murkowski, non compromettono la loro maggioranza – restano loro 51 voti su 100, anche se il Covid rappresenta un’incognita (ma vale pure per i democratici).

Il voto ebraico Usa pro Biden

Il voto ebraico Usa sembra favorire lo sfidante democratico Joe Biden, nonostante le politiche di Trump a favore di Israele. Lo rileva un sondaggio del think tank statunitense ‘Pew Center’ – ripreso dalla Jewish Telegrapich Agency (Jta) – secondo cui il 70% degli ebrei americani ha in mente di votare a favore di Biden mentre il 27% preferisce l’attuale presidente. Se così fosse (ma il margine di errore del sondaggio è di quasi il 10%), si tratterebbe grosso modo della stessa divisione della sfida del 2016 tra Hillary Clinton e Trump: all’epoca infatti, sempre secondo ‘Pew Center’ il 71% delle preferenze del voto ebraico andò alla candidata democratica mentre il 25% al repubblicano Trump. Leggermente diverso dal 2012 quando Obama ottenne il 69% e il repubblicano Romney il 30%, finora il più alto.

Guardia Nazionale pronta a intervenire dopo il voto

Gli uomini della Guardia Nazionale sono pronti a intervenire se dopo il voto in Usa le forze dell’ordine dovessero avere bisogno di aiuto nel fronteggiare eventuali proteste. Lo ha detto parlando al Pentagono Ryan McCarthy, il ministro dell’Esercito dell’amministrazione Trump, specificando però come finora non è arrivata alcuna richiesta. McCarthy ha spiegato che il ruolo della Guardia Nazionale in caso di disordini è solo quello di aiutare a proteggere le proprietà federali e non di pattugliare le strade”.

La polizia di New York si prepara a fronteggiare un’ondata di possibili proteste in vista del prossimo appuntamento elettorale del 3 novembre. Secondo una nota inviata dal capo della polizia Dermot Shea, gli agenti saranno in mobilitazione già dal 25 ottobre, quindi una settimana prima del voto.

“Dobbiamo anticipare – si legge nel documento – e prepararci ad un aumento del numero di proteste e anche in intensità in vista del voto e con molta probabilità anche per il 2021”.



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