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Non inquinerò domani (o meglio dopodomani). Pennisi spiega la falsa promessa della Cina

La stampa “governista” italiana ha dato un grande rilievo al solenne impegno preso dal presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping (familiarmente “Ping”, come una delle maschera della Turandot di Puccini, per il ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale della Repubblica Italiana), di fronte all’Assemblea delle Nazioni Unite, di rendere la Cina neutrale in termini di diossido di carbonio. L’impegno è stato esaltato con applausi ed ovazioni dai portavoce di Xi, dai suoi ambasciatori e da quelli che, nel suo primo film di successo, Alberto Sordi chiamava i compagnucci della parrocchietta sparsi qua e là nel nostro Paese.

Cronisti, commentatori, plebei ed intellettuali osannanti (in prima linea quelli che Vladimir Lenin in persona – lui se ne intendeva – chiamava gli utili idioti d’Occidente) hanno dimenticato di aggiungere che l’impegno è preso per il lontano anno 2060.

Il vostro chroniqueur, che ha passato 18 anni in Banca mondiale e che in passato ha scritto alcuni saggi di economia ambientale, per impegni a lungo termine vuole garanzie come una fideiussione e prima di aprire un fascicolo per un eventuale credito esamina la situazione attuale.

Mi è giunto come il cacio sui maccheroni il volume di Yanzough Huang (professore alla School of Diplomacy and International Relations and Diplomacy alla Seton Hall University nel New Jersey – a 14 miglia da Manhattan – e componente dell’autorevole Council on Foreign Relations) Toxic Politics: China’ Environmental Health Crisis and its Challenge to the Chinese State che la Cambridge University Press (non un’improvvisata casa editrice di una parrocchietta qualsiasi) metterà in vendita dal 30 novembre prossimo venturo.

Mi prendo la libertà di fornire un po’ di anticipazioni ai nostri lettori. L’anno scorso – l’ultimo per cui si hanno dati, la produzione cinese di carbone è stata la metà di quella mondiale ed il consumo interno di carbone in quello che fu il Celeste (ora Grigio) Impero è stato il 60% del totale del consumo energetico totale del Paese. Per il proprio recovery dalla pandemia, la Cina punta sul carbone: sono state concesse licenze per centrali energetiche a combustione carbonifera nei primi sei mesi del 2020 pari al doppio del totale autorizzato nel biennio 2018-2019, nonostante il programma di centrali idroelettriche nella parte settentrionale del Mekong (tema trattato su questa testata) che sta assetando gli altri Paesi del bacino del grande fiume, quella chiamata un tempo Indocina.

L’inquinamento sta danneggiando il Paese. Mancano dati affidabili sulla qualità dell’aria. Per anni, gli stessi studiosi cinesi non ci raccapezzavano ed utilizzavano come fonte per le loro analisi quelle delle missioni diplomatiche (ambasciate e consolati) americane, principalmente il consolato della città di Chengdu, nel sud-ovest. Per questo motivo, venne accusato di spionaggio e costretto a chiudere. Ora gli stessi scienziati cinesi lavorano avvolti da nebbia. Si sa, però, che in Cina stanno aumentando le malattie respiratorie (senza tenere conto del Covid-19) e l’agricoltura è allo sfascio.

L’inquinamento che parte dalla Cina danneggia il resto del mondo, in modo particolare il bacino del Pacifico e, quindi, gli Stati Uniti. L’inquinamento atmosferico dal Pacifico è responsabile del 65% dell’aumento dei livelli di ozono in California. In uno studio del 2014, su dati del 2006, i fisici della Nasa sono giunti alla conclusione che i forti venti sul Pacifico portano particelle della produzione di centrali cinesi a carbone tali da “provocare inverni più freddi e più piovosi negli Stati Uniti”. Il libro è ricco di dati tecnici in materia.

Potrebbe il governo di Pechino, unitamente al Partito Comunista Cinese, invertire rotta, ammesso che lo volesse? È possibile ma ciò comporta una drastica revisione della strategia di economia reale, riducendo il ruolo dell’industria pesante e delle costruzioni. Ciò non solo incontrerebbe l’ostilità della “nuova casta” di oligarchi delle ciminiere e del calcestruzzo, ma rallenterebbe drasticamente la crescita, innescando od aggravando i nodi politici interni. Per sedare i quali, le malelingue dicono che in quel di Wuhan si sperimentavano armi virologiche.

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