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Il clima non è un tema di sinistra. Paganini e Morelli spiegano perché

Di Pietro Paganini e Raffaello Morelli

Il Parlamento europeo ha votato un’importante norma sull’ambiente. Dovremmo discuterne anche in Italia prima e durante il recepimento parlamentare. Il testo di legge approvato (352  a 326, con i voti della Sinistra, Verdi, M5S, Liberali, quindi tutti diversi) prevede che (1) entro il 2050 dovrà essere raggiunta la neutralità climatica; (2) entro il 2030 le emissioni dovranno essere ridotte del 60% (mentre la Commissione aveva proposto il 55%); (3) tutti i singoli Paesi membri devono diventare climaticamente neutrali. Oggi solo cinque paesi Ue (Danimarca, Francia, Germania, Svezia, Ungheria) rispettano per legge nazionale l’obiettivo del 2050.

Una volta arrivata nel nostro Parlamento, è assai probabile che non mancheranno i voti alla maggioranza per recepire la norma europea. Dovremmo però, preoccuparci della cultura politica con cui si arriva al voto. Il rischio, come sempre, è che prevalendo l’ideologia emotiva ambientalista ci si affidi ai proclami della speranza. Non ci si concentra così sull’elaborazione di quei meccanismi che ci consentirebbero di raggiungere l’obiettivo di ridurre le emissioni.

La neutralità climatica consiste nell’equilibrio tra le emissioni di carbonio (CO2) e il suo assorbimento antropogenico. Va raggiunta entro il 2050 per contenere il riscaldamento globale entro il valore di 1,5° – ritenuto sicuro dagli esperti intergovernativi. La realtà attuale, invece, è che suolo, foreste, mari e sistemi simili assorbono solo un terzo della CO2 emessa. Perciò, le emissioni di CO2 vanno o ridotte oppure compensate diminuendole in un altro settore (tipo rinnovabili, più alta efficienza energetica). Appunto ridurre le emissioni  è l’obiettivo della legge che l’Ue sta costruendo.

Al Parlamento italiano si chiede di fare scelte operative precise definite con nettezza che inneschino al riguardo comportamenti virtuosi, da parte dei cittadini e delle imprese. Qui sta il problema. Per compiere scelte operative simili non servono né i  proclami né i libri sacri. In Italia purtroppo, il confronto si limita a formare la coscienza collettiva  sul tema, senza occuparsi di trovare soluzione ai problemi. Ci si stupisce poi, se questo cambiamento  di rotta non arriva.

Urge cambiare mentalità e affidarsi al metodo sperimentale e al pensiero critico che lo fonda. Ad esempio, le risorse del Recovery Fund saranno per circa un terzo destinate alla transizione ecologica. Ma ancora troppi nella galassia della sinistra e nel Pd o (o anche nel M5S) sostengono che la battaglia climatica non va scissa dalla lotta alle disuguaglianze; che serve una visione strategica e coerente del futuro, la cura del territorio, la prevenzione del dissesto e dei rischi sismici. Tutte queste dichiarazioni non servono alla transizione ecologica se non accompagnate dallo spiegare con con quali procedure e meccanismi possano essere realizzate.

L’inquinamento non è un destino ineludibile (l’ennesima prova è venuta dalle chiusure indotte dal Covid-19, che lo hanno fatto calare in modo drastico). Ma può essere eluso solo ricercando precisi meccanismi capaci davvero di crearne le condizioni. Questi meccanismi restano lontani dall’impegno dei molti che si affidano alla logica del manifestare contro il sistema agitando striscioni colorati oppure a quella dell’Enciclica Laudato sì (secondo cui la conversione ecologica è una conversione comunitaria non alla portata delle iniziative individuali).

Solo con la ricerca sperimentale dei singoli saremo in grado di elaborare questi meccanismi necessari per abbattere le emissioni di CO2. I singoli ricercatori sono si collegati agli altri (sia per quanto fatto in precedenza sia per valutare le nuove ipotesi), ma del tutto autonomi nell’utilizzo dello spirito critico nell’osservare la realtà e nel formulare le nuove ipotesi. Trascurando questo approccio non riusciremo a raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica.


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