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Così l’India prova a uscire dall’accerchiamento cinese. Scrive il prof. Paniccia

Il recente accordo militare con gli Usa certifica la fine della politica di neutralità dell’India, accerchiata dalla Cina. Ma la risposta non è esclusivamente militare e difensiva: i colossi americani Amazon, Facebook e Google pronti a investire nel Paese. E si aprono opportunità anche per l’Italia. L’analisi del professor Arduino Paniccia, presidente ASCE Scuola di guerra economica e competizione internazionale di Venezia

Il recente accorto siglato tra il segretario di Stato americano Mike Pompeo e il primo ministro indiano Narendra Modi certifica la fine della politica di neutralità perseguita dall’India fin dalla sua indipendenza e confermata nel corso della guerra fredda, quando insieme all’Indonesia e alla Jugoslavia fondò il Movimento dei Paesi non allineati, distanti sia dalla Nato sia dal Patto di Varsavia.

A sgelare definitivamente i rapporti tra India e Stati Uniti è stato, tuttavia, il viaggio a inizio anno del presidente Donald Trump, accolto calorosamente dal premier indiano a Nuova Dehli, che ha rafforzato la spinta a contribuire più concretamente al contenimento della incombente minaccia cinese.

L’annuncio della firma del Basic Exchange and Cooperation Agreement (Beca), completa così la troika di accordi militari firmati dai due Paesi, mirati principalmente a fronteggiare Pechino nel mare Indo-pacifico.

La Beca, mettendo i dati satellitari statunitensi a disposizione delle forze navali e aeree indiane, consentirà all’India di identificare impianti militari cinesi, tracciare i movimenti navali nell’area e accedere al complesso dell’intelligence geo-spaziale statunitense.

Questo patto fa seguito al Logistics Exchange Memorandum of Agreement (Lemoa) del 2016, che permetteva di usare le basi logistiche e di rifornimento statunitensi e al successivo Communications Compatibility and Security Agreement (Comcasa) del 2018 relativo alle tecnologie criptate e crittografate nei sistemi di comunicazione diretta tra unità militari terrestri, aeronautiche e navali.

Sembra non esservi più dubbio che si tratti di una strategia di risposta di Modi all’accerchiamento interventista di Pechino nel “vicinato” dell’India: Pakistan, Sri Lanka, Myanmar, Bangladesh. Fin dal suo primo mandato (2014-2019) infatti, il premier ha riallacciato sempre maggiori rapporti con i Paesi confinanti, tanto che perfino il presidente Gotabaya Rajapaksha, tornato al potere in Sri Lanka, ha effettuato la sua prima visita ufficiale a Nuova Delhi.

Inoltre, in settembre, il primo ministro indiano ha creato una nuova struttura nel Ministero degli Affari esteri, la Oceania Division, che si occupa di tutto il territorio Indo-Pacifico, area cruciale nella quale opera anche il Quad, il Quadrilateral Security Dialogue, costituito tra Stati Uniti, India, Giappone e Australia nel 2017.

È interessante il rafforzamento della partecipazione indiana al Quad, considerato che essa è anche membro della Sco (Organizzazione di Shanghai) il blocco di sicurezza e cooperazione asiatico a guida cinese, che tuttavia non ha impedito che Pakistan e Turchia supportassero operazioni terroristiche jihadiste nel continente indiano, dove i musulmani sono ben 140 milioni.

Ma la risposta non è esclusivamente militare e difensiva. Recentissime indiscrezioni di Wall Street indicano la volontà dei tre giganti tecnologici statunitensi Amazon, Facebook e Google di investire oltre 16 miliardi di dollari nel settore IT Indiano.

E anche Stati fino a oggi meno coinvolti, come l’Italia, si preparano a una più stretta collaborazione che implementi non solo scambi e investimenti, ma anche acquisizioni di nuove imprese, joint venture e cooperazione tecnologica, superando anni di distacco, con la svolta decisamente impressa dall’ambasciatrice a Roma Reenat Sandhu.

Certo, può aver contribuito a questo nuovo posizionamento indiano anche la palpabile sensazione che la Cina post pandemia stia rivolgendosi più decisamente al proprio mercato interno, rivedendo la strategia che puntava soprattutto alla Via della seta e lasciando quindi, dopo molto tempo, spazi che la grande democrazia continentale asiatica ha deciso di occupare.

In conclusione, le mosse indiane, seppur ancora diplomaticamente spesso sotto traccia e con tutte le incognite provocate dal Covid-19, si rivolgono per la prima volta in maniera netta non solo verso le altre democrazie del globo, ma anche agli assetti geopolitici asiatici dei prossimi decenni e, considerati i buoni rapporti con la Federazione Russa, no nell’area euroasiatica.

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