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Oltre il Covid, il rischio di una morte politica ed economica. L’analisi di Vittorio Robiati Bendaud

Di Vittorio Robiati Bendaud

La morte economica e politica è uno spettro che aleggia pesantemente nell’aria e che già ha mietuto molte vittime e infinite altre fatalmente ne mieterà. Dove l’economia arranca e si ferma è fatale che arretri la sovranità politica. L’opinione di Vittorio Robiati Bendaud, esperto di questioni mediorientali

Il Covid-19 ha colpito abbondantemente i miei polmoni a marzo; mia mamma, più grave, è stata ricoverata alcune settimane per la stessa malattia nel mese di aprile. Ci è andata bene e non ringrazierò mai a sufficienza medici e amici. Nei pensieri agitati di quelle lunghe ore, cadenzate costantemente dalle sirene delle ambulanze, ho pensato che avrei potuto non farcela, cosa assai spiacevole, e il buon Dio si è così dovuto sopportare un mio farneticante monologo interiore. Un mio amico, che è un giovane papà, è stato intubato per settimane, sospeso tra morte e vita.

Da questa prospettiva personale, mi sono convinto che c’è sì da temere per la morte fisica (ove per scongiurarla scrupolo, cura e responsabilità sono imprescindibili), ma c’è molto più da temere per la morte politica ed economica. Forse, e sottolineo forse, quest’ultimo punto non ci risulta sufficientemente chiaro anche perché, da relativamente pochi decenni, non siamo più avvezzi a porci il problema esistenziale del rifuggire la morte “spirituale” della nostra individualità psico-fisica con timore almeno pari a quello che si accompagna alla morte del “corpo”. E nessuno osa nemmeno più porre con sensibilità e intelligenza la questione.

Sia come sia, la morte economica e politica è uno spettro che aleggia pesantemente nell’aria e che già ha mietuto molte vittime (negozi, bar, ristoratori, albergatori; proprietari e dipendenti) e infinite altre fatalmente ne mieterà. Dove l’economia arranca e si ferma è fatale che arretri la sovranità politica. E anche i diritti individuali, di cui giustamente la nostra tradizione occidentale va fiera, nella pratica subiscono ridimensionamenti o addirittura cancellazioni. L’implementazione dei diritti e dunque la tutela della singola persona umana, come pure le possibilità di pubblico sostegno (efficaci o meno, più o meno ampie, sufficienti o insufficienti che siano) in caso di bisogno, esistono realmente e sono state prodotte da società economicamente prospere, pur con tutte le ombre e le tare che si possono (e talora si debbono) muovere. Queste società sono indubbiamente imperfette e con cortocircuiti al loro interno, ma sono risultate vincenti e desiderabili (si pensi solo al fenomeno immigratorio), come tali insopportabili per altre forme di governo, di cultura e di comprensione dell’essere umano.

La povertà che, con il Covid-19, sta avanzando al galoppo verso l’Occidente (in crisi e demograficamente frammentato) non provocherà morigeratezza felice, ma disperazione, come pure ci metterà alla mercé di potenze totalitarie che stanno approfittando di questo stravolgimento epocale per guadagnare posizioni: nella geopolitica mediterranea e caucasico-medio-orientale la Turchia islamista, omicida e bellicosa di Erdogan; nell’economia mondiale la Cina. Erano realtà insidiose prima, ma che inevitabilmente colgono questa nostra debolezza per riportare vittorie strategiche ora, con chissà quali e quanto profonde ripercussioni. Certo se la Turchia, già da anni legata ai Fratelli Musulmani, avesse incontrato nel suo cammino di espansione asiatico-panturanica, oltre all’Armenia, anche un Kurdistan definito, forse sarebbe stata una partita con diverse forze in gioco. Ci si può quindi domandare perché gli Usa abbiano tradito, assieme a quasi tutte le democrazie occidentali, l’alleato curdo contro l’Isis, che adesso opera indisturbato di intesa con le milizie turche e azere contro gli armeni. Un simile errore di calcolo sarebbe possibile da uffici governativi che confondano il Libano con la Libia, ma non certo da tutti… quindi, perché?

La Cina, con i suoi ritardi e le sue menzogne sul Covid – per cui dovrebbe pagare conti salatissimi e per cui dovrebbe essere considerata come interlocutore ben poco affidabile -, dichiara un numero irrisorio di contagi e di morti, il che fa sorgere sostanziosi dubbi sulla veridicità di tali affermazioni – come già accaduto – e, ancora una volta, sull’Oms. Affamati di soldi e di intese energetiche, informatiche e commerciali è possibile che molti Paesi occidentali sentano nelle ristrettezze estreme della nostra contingenza il richiamo del Sol Levante, il che però potrebbe risultare fatale per il nostro pensarci nel mondo, sia a livello economico sia a livello politico.

La Cina pratica in maniera genocidaria dal 1979 l’aborto per le bambine per contenere la popolazione. Stupisce vedere uomini di sinistra, che hanno venduto pezzi di produttività italiana a potentati esteri, operare da anni per gli interessi dell’economia cinese, un regime totalitario, in Europa e in Italia; stupisce non sentire il coro dei “mai più” non attivarsi a ogni livello contro la pratica oscena dell’aborto selettivo massificato; stupiscono i silenzi sul genocidio in atto dei musulmani cinesi Uiguri. Non serve Nostradamus per comprendere che il nostro futuro sarà con ancora più ipoteche se dovessimo sottostare a siffatta macro potenza mondiale.

A farci comprendere la pericolosità della situazione e a che punto sia accelerata, credo occorra soffermarci sulla mossa di Bergoglio per avvicinarsi alla Cina, incluso lo schiaffo simbolico agli Usa. La Chiesa Cattolica ha un’inveterata politica di efficace non tutela dei cristiani d’Oriente, che ammontano a decine di milioni, con i loro riti. Dal 2015 a oggi – passando dall’Iraq alla Siria, dall’Egitto all’Armenia in queste tragiche settimane – sono stati più i silenzi delle timide prese di posizione in materia. Nemmeno i genocidi da loro patiti (né tantomeno le loro sofferenze attuali) vengono ricordati al punto “memoria” nell’enciclica recente che il papa ha rivolto alla sua Chiesa. È dunque inverosimile che l’asse Vaticano-Pechino sia a tutela dei cristiani locali, indipendentemente dalla loro confessione. Ed è ancora più inverosimile che si tratti di questioni riguardanti la libertà di evangelizzazione. Dunque, ed è qui la domanda, cosa ha spinto la diplomazia vaticana a fare questa mossa politica per il presente e il futuro? Cosa sanno o cosa hanno intuito e che a noi, tuttavia, non è ancora chiaro, ma che forse è vitale comprendere per difendere le nostre democrazie?

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