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Se la mascherina di Miss Keta batte le calze smagliate di Gucci

Sul New York Times fanno notizia le mascherine che la rapper ed esponente del mondo LGBT Myss Keta ha usato come dispositivi di significato. L’analisi di Chiara Buoncristiani, giornalista e psicoterapeuta

Gucci lo sappiamo non sbaglia mai un colpo in fatto di trovate di cui non si può non parlare. L’ultima è stata quella di proporre dei collant smagliati. Siamo sulla linea del “viva l’imperfezione”, ribelliamoci alla cultura dominante… Ma anche si vuole della citazione del barattolo di passata di pomodori Kampbell’s di Duchamp. Se non fosse che le calze poi costano 140 euro e sono dunque “smagliate molto d’autore”. Insomma il posizionamento è quello dell’artista post-moderno e del gesto che dovrebbe rompere il sistema della significazione creando, dall’interno, una contraddizione in termini. Geniale.

Eppure qualcosa non torna. Non torna non solo perché le proteste violente di questi giorni al centro di Milano si sono scagliate proprio contro i negozi del lusso e in particolare contro Gucci. Qualcosa non torna perché il gioco con l’oggetto d’uso comune, con il lusso, con i codici della moda, in questo particolare momento storico, non è davvero contemporaneo se non è al passo con i tempi. Ed essere al passo con i tempi, al momento, non può prescindere dal Covid e dai social.

Il Covid non ha solo messo in crisi i nostri sistemi immunitari, ma soprattutto sta rivoluzionando lo sfondo di senso delle nostre vite. Dunque ecco che sul New York Times a fare notizia non sono le calze di Gucci, ma le mascherine che la rapper ed esponente del mondo LGBT Myss Keta ha usato come dispositivi di significato. Secondo il NYT Keta riesce a mettere in evidenza con le sue infinite declinazioni della “mascherina” (in vinile fetisch, chirurgiche, di vestiti, di patchwork) il dilemma posto da una società “di facce coperte da una maschera”. Lei che la faccia se la copriva da secoli prima di noi, come emblema di una vita che voleva vivere per sua scelta “in incognito”, dice di sé di non sapere più come differenziarsi. Ma in più ci chiede: e voi che differenza avete da voi stessi, ora che siete “ufficialmente in incognito”?


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