Difficile dire cosa davvero riservi il futuro delle relazioni transatlantiche nel caso in cui sarà Joe Biden il prossimo presidente degli Stati Uniti. L’ex vicepresidente non condivide certamente la visione politica oggi prevalente, ma il materiale prodotto a sostegno della sua campagna elettorale non è di molto aiuto per stabilire in cosa si materializzerà il suo approccio nei confronti dei vecchi alleati d’oltreoceano.
Di certo c’è solo che Biden si è impegnato a riportare la politica estera statunitense a quella “normalità” abbandonata dal presidente Donald Trump. In altre parole, Biden sembra intenzionato a ritornare a quell’adattamento evolutivo della leadership globale statunitense nell’ambito del quale il presidente Barack Obama si era ripromesso di aumentare lo spazio e il ruolo riservato ai vecchi alleati, per poi però finire con il criticarli in quanto free riders che si avvantaggiano dei benefici di un ordine internazionale salvaguardato dagli Stati Uniti.
A prima vista, Biden sembra la persona giusta per voltare pagina e aprire un nuovo capitolo nella storia delle relazioni transatlantiche. L’ex vicepresidente è sempre stato un convinto atlantista, e nel corso della sua pluridecennale carriera politica ha avuto modo di stringere proficue relazioni con molti leader europei.
Tuttavia, sono in molti a credere, da una e dall’altra sponda dell’Atlantico, che a prescindere dall’esito della prossima tornata elettorale, le relazioni transatlantiche non saranno destinate ad andare incontro a un significativo cambiamento, troppo profonde le divergenze, troppo strutturali le problematiche.
Molto dipende dalla lettura che si da della presidenza Trump: chi la riconduce a poco più di un incidente di percorso nella lunga storia della democrazia americana è propenso a credere che le divergenze emerse tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea siano tutto sommato transitorie; chi la considera come l’inevitabile prodotto di una lenta trasformazione del sistema politico statunitense è invece orientato a giudicare tali divergenze come ormai strutturali e, quindi, difficilmente riversabili.
Di sicuro, un’eventuale amministrazione Biden sarà inizialmente ben accetta da molte, anche se non da tutte, le cancellerie europee. Quanto poi succederà in seguito dipenderà soprattutto da come affronterà tre grandi e complesse questioni, la cui risoluzione è complicata dalla loro notevole interconnessione.
L’eco-sostenibilità dello sviluppo industriale, è la prima di queste tre grandi questioni. Biden sta proiettando la lotta al cambiamento climatico come la politica più importante di una eventuale sua presidenza. L’audacia del piano da lui presentato l’estate scorsa riflette l’alta priorità attribuita alla difesa dell’ambiente dagli elettori del Partito democratico e, nel saldare insieme moderati e progressisti, gli ha permesso di mettere fuori gioco quel Partito verde che tanto ha danneggiato i democratici nelle precedenti elezioni.
Ne consegue che Biden farà del suo meglio per tanto riportare gli Stati Uniti all’interno di quell’accordo di Parigi sul clima dal quale usciranno ufficialmente solo il prossimo 4 novembre, quanto per e implementare quella tassa sui consumi di energia prodotta dai combustibili fossili che potrebbe ben presto portarlo ai ferri corti con molti partner commerciali, compresa l’Unione Europea.
Tuttavia, le prospettive di approvazione degli appositi dispositivi di legge dipenderanno non solo dalla conquista da parte del Partito democratico di una maggioranza al Senato tutt’altro che scontata, ma anche dalla tanto discussa e ancora più incerta eliminazione del filibuster, ovvero di quel meccanismo che permette di bloccarne i lavori in mancanza di una maggioranza di sessanta senatori su cento.
Segue d’appresso la questione commerciale. Almeno per il momento, sembra chiaro che Biden intenda porre fine alla guerra commerciale lanciata da Trump nei riguardi dell’Unione europea. Molto meno chiaro è però come Biden potrà effettivamente muoversi per revocare i dazi sulle importazioni di acciaio e di alluminio.
In realtà, è molto probabile che Biden non riuscirà a far seguire alle parole i fatti per almeno due diversi ordini di ragioni, quali la necessità di proteggere e promuovere la produzione interna di tali materiali, e la possibilità di usare tali dazi come leva di pressione nella negoziazione di un nuovo patto commerciale transatlantico, qualora quell’intero processo fosse, come sembra probabile, rilanciato.
Da un’eventuale amministrazione Biden ci si aspetta poi una più dura presa di posizione nei confronti della Federazione Russa. Una mossa questa che non potrebbe non complicare i rapporti con una Germania tra l’altro sempre intenzionata ad andare avanti nella realizzazione del controverso gasdotto Nord Stream 2. Inoltre, tutto lascia supporre che, a differenza di quanto avviene all’interno dell’Unione Europea, anche sotto la guida di Biden, gli Stati Uniti continueranno a subordinare la propria politica economica a una logica di concorrenza strategica che potrebbe condurre all’imposizione di sanzioni nei confronti della Repubblica Popolare Cinese in grado d’impattare anche su molte aziende europee.
Infine, non si vede in che modo una presidenza Biden potrebbe porre fine alla disputa di lunga data sui sussidi governativi forniti alle industrie impegnate nella produzione dei grandi aerei di linea. Anzi, le recenti difficoltà in cui versa l’industria aerospaziale statunitense e l’intero settore del traffico aereo civile, sembrano in grado d’esacerbare ulteriormente una controversia resa ancora più complessa dalle relative prese di posizione dell’Organizzazione mondiale per il commercio.
Altrettanto poco chiaro è poi come Biden intenda riportare l’azione internazionale degli Stati Uniti nell’ambito delle varie istituzioni sovranazionali accantonate dall’amministrazione Trump, a partire proprio da un’Organizzazione mondiale per il commercio di cui il ripristino del corretto funzionamento di quel meccanismo di risoluzione delle controversie, direttamente danneggiato dal blocco disposto dall’amministrazione Trump nei confronti della nomina di nuovi giudici di quest’organo d’appello, è d’importanza prioritaria per l’Unione Europea.
L’ultima questione riguarda l’Alleanza Atlantica. Biden si è detto pronto a rivedere la recente riduzione del numero delle truppe dispiegate in Germania, ma questo non significa che abbia necessariamente intenzione di riversare la decisione del presidente in carica. Anzi, sembra probabile che Biden continuerà a criticare gli Alleati per la loro bassa propensione a incrementare le dimensioni e le capacità dei propri sistemi militari, e questo a prescindere da quel due per cento del bilancio nazionale da dedicare alla spesa per la difesa che ormai da tempo continua a essere solo un obiettivo per molti dei paesi membri dell’Alleanza Atlantica.
Del resto, l’insoddisfazione statunitense in questo settore è cosa di vecchia data, come dimostrato già nel 2011 in un suo discorso dal segretario della Difesa dell’amministrazione Obama, Robert Gates. Inoltre, le divergenze nelle visioni in materia di sicurezza e difesa dei principali paesi europei, alcuni dei quali sono convinti che l’Alleanza Atlantica deve fare di più per proiettare stabilità lungo i suoi confini meridionali, mentre altri intravedono in una Federazione Russa revanscista una minaccia esistenziale contrastabile solo con un maggiore impegno militare, sembrano gettare forti dubbi sull’opportunità di abbandonare il bilateralismo da ultimo professato dall’amministrazione Trump, per un multilateralismo che potrebbe finire con l’evidenziare in misura ancora maggiore i limiti dell’Alleanza Atlantica.
A differenza di quanto, più nel male che nel bene, avviene con il presidente in carica, la candidatura di Biden non suscita grandi entusiasmi e particolari emozioni ma, almeno da questa parte dell’Atlantico, sembra alimentare delle grandi aspettative favorite da una spiccata tendenza all’idealizzazione della precedente politica estera statunitense. Il rischio, come sempre in questi casi, è che queste grandi aspettative eccedano quel che Biden da presidente vorrà e potrà fare.