Oddio signora mia, non ci sono più i dibattiti di una volta. Che orrore, Trump che interrompe Biden e svia la discussione, Biden che gli intima di stare zitto (ma “shut up” è qualcosa in più). Possiamo però dire che i gridolini, di voci non proprio verginali, di politici e commentatori sul “più orribile dibattito di sempre” (come se non ci fosse solo dal 1960), al di qua e al di là dell’Atlantico, ci sembrano frutto di una solenne ipocrisia nel migliore dei casi e in una totale incomprensione del presente?
L’ipocrisia. Quella di stupirsi. Ma come, l’America va a ferro e fuoco, ci sono milizie di estrema destra e di estrema sinistra che girano armate, da quattro anni i democratici e la stampa progressista accusano Trump di ogni nefandezza, nessuna esclusa, prendendosela anche con la giudice Amy Coney Barret, rea di essere cattolica e di aver adottato bambini neri: e di fronte a questa barbarie, ci si scandalizza per qualche interruzione e perché i due non si sono scambiati tè con pasticcini?
L’ipocrisia della forma. Un certo grado di ipocrisia e quindi di formalismo sono necessari in una società purché non superino un livello in cui diventano grotteschi. E lo sono i commentatori che rievocano i tempi in cui i dibattiti erano ricchi di contenuti. Ma quando mai? Più che altro slogan e battute ad effetto, liste della spesa violate il giorno dopo l’elezione dal vincitore. E la compostezza eventuale della forma tradiva una violenza psicologica notevole, brandita contro l’avversario.
Comica poi la sorpresa qui in Italia. Se il nostro Paese è stato anticipatore di qualcosa, lo è stato anche nella trasformazione del dibattito in rissa. In nessun Paese occidentale i talk show politici sono come da noi un trionfo di insulti e in un profluvio di slogan. Compresi quelli pre elettorali: memorabile un Prodi che nel 2006 accusa Berlusconi di essere un ubriacone e il Cav a rispondergli dandogli del’”utile idiota”. Se c’è qualcuno che può elargire agli americani lezioni di bon ton, non siamo certo noi. In tal senso la vita politica statunitense si è semplicemente italianizzata.
Ma poi vogliamo dirla tutta? Sono molto più divertenti e veri i dibattiti tipo quello dell’altra sera, oppure quelli di quattro anni fa con Trump che prende alle spalle Hillary. Gli incontri precedenti erano invece una noia totale, tranne quelli con Ronnie Reagan nel 1980 e nel 1984. E sfogliate i giornali dell’epoca, americani ed europei, soprattuto coevi al 1980: tutti stavano con Carter, tutti dicevano che Reagan aveva involgarito ogni cosa con le sue battute.
E qui siamo all’ultimo ordine di ipocrisia. Quello di celare il lato violento del politico. La politica non è che la guerra condotta con altri mezzi, per parafrasare von Clausewitz, è la dialettica hostis/inimicus di Carl Schmitt, è secolarizzazione dei conflitti religiosi, è mors tua vita mea, è la brutale draconiana lotta della “classe politica” più forte contro quella più debole (Gaetano Mosca), è il conflitto per il controllo del potere, gestore della paura (Guglielmo Ferrero), è “sangue e merda” come diceva Rino Formica. E incontri come quelli dell’altra sera ne disvelano il carattere più dei finti dialoghi di finti gentiluomini, si chiamassero Kennedy, Nixon, Reagan, Clinton, Bush, Obama.
Infine, scandalizzarsi per quel tipo di confronto vuol dire non aver capito che viviamo nella società dello spettacolo (eppure Guy Debord ce lo dice dai primi anni Sessanta), in cui i confini con la politica o sono progressivamente saltati, e da molto tempo. Siamo nell’epoca del debatentertainment, crasi tra debate ed entertainment coniata da Henry Mount sul Telegraph di oggi. E sarà così anche nel futuro. Se una figura dell’apparato moderato dem come Biden, totalmente priva di carisma, emblema di un mondo non vecchio, ma vecchissimo, forse addirittura pre kennedyano, è sembrato dare segni di vita, è proprio grazie ad un scontro violento e volgare. Ragion per cui, care mie signore scandalizzate, non solo la destra ma anche la sinistra hanno perso il bon ton. Ed è un bene per l’America e un po’ per tutti noi.