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Francia e Islam, perché dal laicismo non si torna indietro. Scrive Darnis

I terroristi hanno perso in partenza di fronte alla percezione etica e morale della dolorosa necessità della libertà di pensiero. Ma purtroppo ci vorrà tempo, come nell’Italia degli anni ’70 e ’80, prima che il consenso verso l’ideologia violenta possa defluire e portare a una visione pacifica della libertà di pensiero e della pratica religiosa. L’analisi di Jean-Pierre Darnis, professore associato Université Côte d’Azur (Nice) e consigliere scientifico Iai

Lo sgozzamento di due fedeli e del sacrestano avvenuto nella basilica di Notre Dame a Nizza irrompe nell’attualità come un’ulteriore tragedia. Prolunga la scia di sangue nell’ormai decennale ciclo dei 55 attentati di matrice islamista in Francia che hanno mietuto 293 vittime dal 2012 in poi.

Appare anche come un ulteriore sciame terroristico legato ai contraccolpi dell’uccisione del professore di liceo Samuel Paty, reo di aver illustrato una lezione sulla libertà di espressione commentando le caricature di Maometto già pubblicate da Charlie Hebdo. Nel momento nel quale la Francia si sta confinando per fronteggiare l’onda dell’epidemia di Covid-19, si aggiunge questo ulteriore trauma.

Di fronte all’orrore commesso cala un sentimento di profonda tristezza, a volte di rabbia, come se nella Francia odierna il male non avesse fine.

Si possono illustrare le dinamiche che contraddistinguono la Francia di oggi, ma niente poi può veramente spiegare il crimine.

Abbiamo nella Francia odierna una specie di “nuova questione romana” nella quale il rapporto con alcune obbedienze islamiche rappresenta un problema politico e sociale interno, ma costituisce anche una questione per il collocamento internazionale della Francia. Non esiste in Francia una “comunità musulmana” unica bensì semmai varie tendenze, spesso caratterizzate dal ruolo di moschee che possono apparire come controllate da associazioni legate a vari Paesi musulmani come ad esempio il Marocco, l’Algeria, il Qatar o la Turchia.

Questo rapporto con l’estero apre un ulteriore scenario, quello delle varie faide e lotte all’interno del mondo musulmano internazionale, con ad esempio il presidente turco Erdogan che gioca la strumentalizzazione del rapporto conflittuale con la Francia anche in chiave di conquista di leadership sul mondo sunnita. Va anche menzionato il ruolo della Francia nella lotta al terrorismo islamico fra Africa e Medio-Oriente, il che crea ulteriori dinamiche di contrapposizione e di propaganda. A differenza della storica “questione romana”, il problema è che non esiste un centro di potere musulmano radicato in un contesto territoriale preciso, bensì una moltiplicazione di chiese nazionali o obbedienze che rende particolarmente difficile il trattamento di tale questione.

Tornando alla situazione interna francese, si pone il problema del dialogo con musulmani che non sono ricongiungibili a un’unica associazione o istituzione nel contesto francese. Secondo le statistiche correnti, ci sarebbero fra 3 e 4 milioni di musulmani in Francia. Nell’ultimo decennio alcuni lavori empirici e accademici hanno poi descritto la realtà di pratiche religiose e sociali basate su un’interpretazione integralista dell’Islam e che provocherebbero un rifiuto di gran parte delle regole civili francesi.

Questo fenomeno, che si riflette ad esempio nel saggio “Les territoires perdus de la Républiques” scritto da Emmanuel Brenner, riguarderebbe una fetta importante della popolazione (alcuni autori parlano di 700mila persone) ma che costituisce comunque un sotto gruppo minoritario all’interno dell’insieme dei musulmani.

Va anche rilevato che se cerchiamo di ragionare sul numero di francesi discendenti da un’immigrazione proveniente da Paesi musulmani arriviamo a delle cifre molto più alte (circa 8 milioni), il che illustra anche un fattore importante: l’ampia secolarizzazione dei francesi che hanno un’origine da immigrati che non possono oggi essere definiti come “musulmani”.

La Francia ha nelle sue prigioni fra 1000 e 1500 detenuti che entrano nella categoria di radicali islamisti, mentre le forze dell’ordine francesi hanno schede su circa 10mila individui che sono quindi oggetto di una sorveglianza per radicalizzazione. Però si osserva come l’attentatore del professore Samuel Paty si fosse auto-radicalizzato nell’ultimo anno, e quindi non era conosciuto dai servizi di polizia. Tutto questo illustra il paradigma del “jihadismo di atmosfera” ben descritto da Gilles Kepel, dove alcuni individui si radicalizzano praticamente da soli, nutrendosi dalla propaganda presente sulle reti sociali e spesso proveniente dall’estero.

Il problema quindi non è un semplice problema criminale, di trattamento del terrorismo, ma anche di trattare le cause di una forma di divergenza all’interno della società francese, di una scissione da parte di un gruppo minoritario che possa poi avere forme di empatia con il radicalismo islamista, per fare un paragone italiano una moderna versione dei “compagni che sbagliano”.

Il potere politico ha preso le misure di questo problema annunciando recentemente un dispositivo di legge per contrastare quello che viene definito come “separatismo”. Questi annunci, anche se tardivi, riescono finalmente ad adeguare la realtà del territorio con un insieme di politiche pubbliche. La Francia è sempre restia, anche a nome dell’interpretazione della laicità, a definire politiche che possono avere come oggetto la dimensione comunitaria. Il presidente Macron ha compiuto questo passo necessario, anche se in un primo tempo provocherà ulteriori scostamenti perché viene a rimettere in gioco alcune dinamiche nocive fra integralisti all’interno e all’esterno della Francia.

Il punto centrale sul quale la Francia sta convergendo è quello della libertà di espressione, e quindi anche di prendere in giro in modo blasfematorio, e di lasciare i giornali pubblicare quello che vogliono. In Francia regge spesso uno spirito umoristico beffardo che tende a esercitare una satira feroce, anche da un punto di vista politico e religioso.

In molti Paesi, anche occidentali, queste espressioni poco reverenziali possono scioccare. Fanno parte dello spirito civile francese, anche radicato nell’illuminismo, che fa corrispondere libertà di espressione con libertà di religione, e che garantisce entrambe. Ed appare una follia nel contesto francese il sangue versato per dei disegni.

Lo sanno bene ad esempio i cattolici francesi che sono abituati a subire certe forme di derisione con toni blasfematori, ma che non se la prendono. Questo compromesso è frutto della storia e della profonda dialettica, spesso contrastante, fra regime politico e Chiesa cattolica che ha portato a una forma di equilibrio nel quale le espressioni vengono poi regolate all’interno di un concetto esteso di laicità. Nella laicità francese la religione viene quindi concepita nella sfera privata, spesso individuale.

Per certi versi la parabola terrorista che cerca di rimettere in causa questa separazione netta per fare di un disegno un motivo di condanna a morte è il segno di una lunga e dolorosa disfatta, quella di idee che a nome di una serie di percezioni morali pronunciano delle condanne a morte. Di fronte a queste violenze assistiamo a un ricompattarsi dei vari attori che rigettano la violenza e difendono la libertà di espressione.

I terroristi hanno perso in partenza di fronte alla percezione etica e morale della dolorosa necessità della libertà di pensiero. Ma purtroppo ci vorrà tempo, come nell’Italia degli anni ’70 e ’80, prima che il consenso verso l’ideologia violenta possa defluire e portare a una visione pacifica della libertà di pensiero e della pratica religiosa.

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