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Fratelli tutti, prime impressioni di un Imam italiano. Scrive Yahya Pallavicini

Grazie a Dio papa Francesco ci chiama tutti fratelli! In un momento di crisi e di chiusura e di arroccamenti individualistici non oso immaginare il caos che avrebbe potuto provocare una posizione alternativa o in opposizione alla fratellanza, soprattutto da parte della massima autorità del Cristianesimo.

Oscurantismo e demonizzazione sono stati artifici di comunicazione per giudizi e conflitti fratricidi nel corso della storia, sia nei confronti di popoli o comunità “diversi” che nei confronti di membri che appartengono alla stessa radice e contesto culturale e religioso.

Papa Francesco ha l’ispirazione di raccogliersi alla tomba di San Francesco per anticipare interiormente un messaggio rivolto d’autorità, dopo l’Angelus, ai fedeli che si riconoscono guidati dal suo magistero cristico nella Chiesa Cattolica e, con altrettanta e profonda fratellanza, a tutti, vale a dire ad ogni persona che abbia l’ispirazione di leggere un appello di un servo di Dio.

Il linguaggio del pontefice ha un valore universale che ogni semplice credente e cittadino può cogliere a prescindere dalle articolazioni giuridiche, scientifiche, teologiche, filosofiche, politiche e culturali che possono essere declinate nei vari contesti locali, regionali o internazionali della società contemporanea. Se il lettore ha la pazienza di lasciarsi guidare dal linguaggio dell’enciclica scorrendo gli otto capitoli e i 287 articoli saprà cogliere un importante valore educativo al senso delle parole nel quadro di una narrazione religiosa aperta al dialogo e al rispetto dell’identità autentica di tutti.

San Francesco ammoniva i suoi frati invitandoli “a rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore del Vangelo”. I maestri musulmani interpretano questo “sapore” con il richiamo ai discepoli al “gusto spirituale”. Parte forse da questo invito alla degustazione, alla convivialità compartecipata, il tema della “Fratellanza” nel bene comune. Questa “dimensione universale” del messaggio dell’enciclica papale è un invito ad aprirsi al prossimo riconoscendo in ogni persona l’occasione di “uscire da noi stessi” per crescere insieme e tendere ad una “comunione universale”.

Allo stesso tempo, dopo aver preso coscienza delle cause e delle conseguenze di una politica o di una economia che disgrega la fratellanza, secondo il suo carattere e la sua natura, l’enciclica non si limita ad un appello alla solidarietà ma integra lo strumento della benevolenza, ossia il volere concretamente il bene dell’altro, al riparo da qualsiasi interpretazione “buonista” o di tolleranza solo formale e astratta. Si tratta di una benevolenza che è accompagnata dal “fare memoria del bene, di chi ha scelto il perdono e la fraternità”.

Su questa base, trovano una loro naturale collocazione nell’enciclica nove citazioni del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato ad Abu Dhabi da papa Francesco con il grande Imam Ahmad al-Tayyeb il 4 febbraio 2019. A testimonianza di una amicizia e di una fratellanza tra cristiani e musulmani già anticipata da San Francesco nella sua visita al Sultano d’Egitto Malik al-Kamil, papa Francesco ribadisce e sviluppa anche questa fratellanza tra credenti per una responsabilità comune e una funzione di cambiamento e salvataggio dell’umanità dal “deterioramento dell’etica, dall’indebolimento dei valori spirituali e da una situazione mondiale dominata dall’incertezza, dalla delusione e dalla paura, dall’individualismo, dalle filosofie materialistiche, da valori mondani e materiali che hanno sostituito principi supremi e trascendenti e hanno portato ad una coscienza umana anestetizzata”.

La fratellanza tra cristiani e musulmani parte dalla coscienza di una crisi spirituale diffusa e di una decadenza del sistema che deve essere sostenuto per “una rotta comune”. Parallelamente, la fratellanza tra credenti, cittadini e rappresentanti istituzionali viene ribadita nella comune condanna di qualsiasi abuso e strumentalizzazione del Nome di Dio o di una dottrina o simbolo religioso per giustificare odio e violenza, terrorismo e guerra. Come San Francesco seppe attraversare le truppe in conflitto che si contendevano Damietta otto secoli fa e dialogare con il saggio musulmano, così cristiani e musulmani ma tutti i credenti e tutti i cittadini e tutti i governanti devono essere ispirati dalla stessa saggezza e cultura del dialogo e per la pace, tutti devono tornare ad essere fratelli, sia in Oriente che in Occidente.

L’enciclica richiama alla natura della dignità della persona umana, alla sacralità della vita e allo sviluppo integrale di ogni uomo e donna e, nel paragrafo intitolato “Il limite delle frontiere” ribadisce l’importanza della piena cittadinanza invitando a non speculare sui numeri o sulle “minoranze” per negare il diritto alla libertà religiosa. Si tratta di una testimonianza chiara sia per le politiche sociali in Europa ma anche per le libertà civili nel mondo arabo.

In conclusione, ci colpisce il riferimento al “miracolo della gentilezza” come “liberazione dalla crudeltà, dall’ansietà e dall’urgenza distratta”. In effetti, sembra essere una indicazione di metodo per iniziare e continuare una via di dialogo e collaborazione che possa far riscoprire veramente la conoscenza di se stessi e del proprio fratello.

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