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Lega liberale, federalista ed europeista? Si può fare. Scrive l’eurodeputata Gancia

Di Gianna Gancia

Luglio 2019, insediamento al Parlamento europeo della IX legislatura. È passato poco più di un anno, eppure molte cose sono cambiate. Nei banchi non troppo distanti dal mio sedevano i britannici, il Movimento 5 stelle sperimentava l’inedita alleanza con il Partito democratico risultando decisivo nell’elezione di Ursula von der Leyen come nuova presidente della Commissione europea. Tedesca, sei anni da ministro della Difesa, esponeva al nuovo Parlamento in seduta plenaria le priorità del suo mandato: Green deal, difesa comune, completamento del mercato dei capitali, riscoperta della centralità dell’Europa nello scacchiere della geopolitica. Da allora, i britannici hanno abbandonato la casa comune a cui appartenevano da 47 anni, il Movimento 5 stelle si avvia alla propria dissoluzione con il conseguente ritorno al bipolarismo in Italia, la pandemia ha sparigliato le carte della Commissione, gli Stati membri si avviano verso un accordo storico, impensabile solo 14 mesi fa, che impegnerà l’Unione europea a emettere debito comune per finanziare la ripresa.

E allora ecco che la storia del Vecchio continente si trova dinanzi a uno spartiacque. Nonostante le difficoltà, possiamo intravedere i segnali di un cambiamento epocale, che vanno colti e interpretati nella giusta direzione.

Per troppi decenni abbiamo convissuto con un apparato burocratico schiavo delle rivalità tra gli Stati nazionali e talvolta preda di sé stesso, icasticamente inscritto nell’immaginario comune come una tecnocrazia lontana anni luce dalle istanze dei cittadini europei. La mia esperienza diretta nelle istituzioni ha avvalorato la consapevolezza di avere a che fare con una struttura unica nel suo genere — la sola istituzione sovranazionale democraticamente eletta, ma ancora troppo lontana dal poter contare su procedure decisionali efficienti e funzionali, nel rispetto delle diverse realtà locali che compongono il continente.

Abbiamo un inno comune, una moneta unica, una bandiera, ma non abbiamo ancora costruito un meccanismo istituzionale e politico che metta al centro, risaltandola, la ricchezza di culture, lingue e tradizioni dei popoli europei.

La congiuntura storica che stiamo vivendo deve essere sfruttata per creare una nuova Unione europea, più democratica, capace di fare tesoro delle necessità e delle capacità dei territori: l’Europa dei popoli e delle identità locali.

Lo spirito che può animare questo nuovo corso costituente dovrà riconsiderare il concetto anacronistico di Stato nazionale, sorto a partire dalla metà dell’Ottocento. Per immaginare l’Europa del domani sarà necessario abbracciare la consapevolezza che i confini nazionali non delimitano spazi culturali omogenei al loro interno e dissimili tra loro. La nostra penisola ne è un esempio: la Lombardia ha molto più in comune in termini di storia, commercio e scambi culturali con la Baviera che con la Sicilia. La Sicilia, a sua volta, ha in sé le caratteristiche geografiche e storiche per essere uno snodo strategico e commerciale sul Mediterraneo, dialogando con il continente africano così come con il mondo arabo ed ellenico. Queste affinità transnazionali permeano non solo l’Italia ma tutto il Continente.

Siamo di fronte a un patrimonio ineguagliabile che costituisce un vantaggio competitivo con il resto del mondo, che il centralismo nazionale e sovranazionale ha fino ad ora affossato in nome di un egualitarismo solo teso a concentrare il potere in pochi centri decisionali.

Per questo motivo, se vogliamo guardare al futuro del Vecchio continente con rinnovato ottimismo, dobbiamo rimettere al centro le autonomie, i territori, la sana competizione tra le realtà locali.

Nello scenario politico italiano, la Lega può legittimamente proporsi alla guida del centrodestra italiano per essere il motore di questo cambiamento all’interno delle istituzioni europee, come contenitore — federalista e liberale — delle forze del rinnovamento.

Non possiamo sottrarci dall’essere attori protagonisti di questo cambiamento.

La frammentazione geopolitica a cui assistiamo ha aperto uno spazio senza precedenti nella storia contemporanea sullo scacchiere mondiale.

La Turchia di Recep Tayyip Erdogan, con rinnovato spirito imperialista e con una spregiudicatezza senza limiti, minaccia con prepotenza i confini e la stabilità dell’Europa, facendo leva sulla vita di milioni di migranti provenienti dalle zone di guerra del Medio Oriente e dell’Africa subsahariana.

Gli Stati Uniti d’America, mentre vivono una profonda crisi d’identità, non sembrano essere più disponibili come prima a fornire supporto e protezione ai suoi storici alleati.

La Cina, di cui ormai abbiamo scoperto il bluff, oltre a non avere ancora fornito spiegazioni sulla gestione della pandemia, si arroga il diritto di sconvolgere il sistema valoriale dell’Occidente attraverso la nuova Silk Road e il controllo delle telecomunicazioni.

L’unica direzione percorribile per garantire ai cittadini europei sicurezza e libertà passa dal creare strumenti idonei per fare dell’Europa un centro geopolitico, strategicamente autonomo e diplomaticamente forte: una difesa europea comune, con priorità chiare e condivise, doterebbe il Continente della capacità di esercitare quell’hard power di cui siamo ancora carenti.

Questo non significa rinchiudere l’Europa nella cortina del protezionismo, bensì dotarla della forza necessaria per aprirsi al resto del mondo, al commercio globale, consapevoli di poter definire gli standard.

Il centrodestra italiano, con la Lega come forza trainante, porti in Europa questo spirito di rinnovamento che, senza rinnegare il contesto globale, metta al centro i territori, le amministrazioni locali, le identità e le storie dei popoli.

Il federalismo diventi una parola d’ordine, in Italia e in Europa, per dar vita a un sistema di governo più rispettoso delle scelte dei cittadini, più libero dalle influenze esterne, più democratico e soggetto al controllo dei cittadini.

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