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I giovani, il popolarismo e l’internazionalismo democristiano. Il commento di Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

In quello che un tempo era chiamato “mondo cattolico”, dopo venticinque anni di diaspora e fallimenti delle svariate ricette messe in campo per far pesare la presenza politica dei cattolici, dalla follia della contaminazione, all’accettazione supina di un bipolarismo simile ad una camicia di forza, dall’idea dello sparpagliarsi per ritrovarsi sui grandi temi, alla disponibilità ad interpretare una novella categoria, quella dei “cattolici consulenti”, ciò che rimane sono ancora forze e capacità di riflessione rifugiatesi in un volontariato volutamente schermato alla politica ed in questa una sostanziale afonia.

Nella dimensione più politicista si è vista invece la moltiplicazione di proposte interpretate in particolare da nostalgici o da quell’ultima generazione democratico cristiana che accompagnò senza capacità particolari alla fine dell’esperienza organizzata partitica con conseguente dispersione di un patrimonio umano straordinario o da personaggi che per decenni ebbero in antipatia, se non in odio, proprio la presenza democristiana radicata nel popolarismo con le sue peculiari caratteristiche, centrismo e autonomia (senza considerare le proposte più lontane da questa tradizione perché hanno cercato di interpretare posizioni più integraliste e di nicchia).

È una moltiplicazione dell’offerta in assenza di domanda normalmente fatta senza i giovani tenuti ben lontani da tediose riflessioni e trenodie di articoli culturalmente anche elevati ma obiettivamente barbosi, che in molti casi mantiene viva anche la frattura tra “cattolici del sociale” e “cattolici della morale”. Tutto questo viene fatto da vere compagnie di giro che si sono mosse negli anni da una proposta all’altra, formate da inquieti pellegrini sempre pronti a pontificare mentre cercano ruoli senza quasi mai affrontare il cittadino elettore. E i giovani? Saranno interessati ad esempio a rifare vecchi partiti fregandosene che le organizzazioni sono figlie del proprio tempo? Non è questa una sorta di tradimento di tanta testimonianza ed un attualissimo pensiero?

Seguendo questo pensiero appare interessante notare come sia passato inosservata una indagine di SWG e Skuola.net sul referendum costituzionale, esempio di populismo e contingenti calcoli di marketing elettorale senza visione per la Repubblica ed una democrazia integrale. Secondo quanto emerso la così detta generazione Z, i 18/21enni, hanno votato per il no per un prevalente 52,7%. I più appassionati alla politica si sono espressi contro la riforma per il 69% che cala al 58% per gli interessati ed al 43% per i disinteressati. La percentuale di quelli che si identificano nei partiti cambia con quelli vicini a M5S e Lega prevalentemente per il si e quelli al Pd per il no: ciò che però è interessante è il dato dei ragazzi che non si riconoscono in nessun partito, contrari al taglio dei parlamentari per il 59%. Insomma sono stati battuti dalle generazioni più vecchie ormai avvelenate da due decenni di antipolitica, che ha costruito l’attuale panorama politico, ma hanno dimostrato una cosa preziosa, di riconoscersi in quel programma di popolo che è la Costituzione della Repubblica Italiana.

Considerando l’abbandono tra i cattolici della politica probabilmente qui ritroviamo molti dei giovani che possiamo ancora incrociare nelle parrocchie, nelle associazioni, nei movimenti, ecc.., tutti oggi più propensi all’esercizio dell’equilibrismo fondato sul farsi piacere a tutti, che rappresenta l’antitesi della passione di un giovane. Appare utile, a questo punto, incrociare questa indagine con quella presentata nel 2019 dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, con un campione un po’ più ampio per fascia d’età: così scriveva a tal proposito il prof. Rosina su Avvenire del 13 novembre 2019: “Indicazioni interessanti sul disallineamento tra offerta politica e domanda delle nuove generazioni si ottengono anche rispetto all’orientamento sull’asse destra-sinistra. I giovani che si autocollocano a destra sono l’11,9% contro l’8,5% di chi si posiziona a sinistra. Anche coloro che si collocano nel centro-destra (18,6%) sono prevalenti rispetto a chi sceglie il centrosinistra (13,3%). La concentrazione maggiore è comunque quella di chi si posiziona al centro (23,4%). Se però si considerano i giovani laureati, il rapporto tra centro-sinistra e centro- destra si ribalta (21,3% contro 19.0%), mentre il centro si rafforza ulteriormente (25,4%). La differenza tra i laureati e gli altri giovani è soprattutto dovuta al fatto che tra questi ultimi è maggiore il dato di chi non si colloca e corrispondentemente più debole risulta il riconoscimento nell’offerta politica più a sinistra. Lo spazio al centro appare, invece, contenere una domanda molto più ampia rispetto alla proposta politica attualmente presente. L’offerta dei partiti si è finora soprattutto indirizzata con efficacia a catturare il consenso di chi si posiziona agli estremi, in particolare verso destra, o di chi non si colloca. Questi dati ci dicono che è soprattutto al centro che oggi si può sperimentare qualcosa di nuovo che possa aver successo nel convincere e coinvolgere le nuove generazioni. In questo spazio il mondo cattolico può agire da protagonista, se in grado di contribuire ad una nuova proposta aperta di azione per il bene comune, che guardi al futuro e resista a riedizioni più o meno nostalgiche del passato”.

Ecco che questi dati incrociati suggeriscono che proprio a partire dai giovani forse ci può essere una domanda da soddisfare senza mettersi a discutere di alleanze, cioè di tatticismi o fare accademismi, ma proponendo un pensiero, come va ripetendo da tempo il Presidente Ciriaco De Mita, cioè la merce più rara dell’attuale contesto politico italiano, davvero radicato sui territori, capace di entrare in contatto con loro e di coinvolgerli per il bene comune. L’identikit del popolarismo è così ben delineato con le sue proposte forti, i collegamenti con il popolarismo europeo e l’internazionalismo democratico cristiano (alvei che possono agevolare un processo di ricomposizione) per connettere sempre più giovani con quello sguardo complessivo e dialogante suggerito da Papa Francesco nella sua ultima Enciclica “Fratelli Tutti”.

Non è possibile fermarsi all’ingegneria politica come quella di partiti lideristici che per convenienza si convertono o a cose simili, serve riportare in superficie un fiume carsico che esiste, senza morire di assemblee costitutive ma innescando un naturale ed amicale ritrovarsi proprio grazie al sostegno ad un nuovo protagonismo dei giovani in politica attraverso cui i cattolici (senza aggettivi che hanno probabilmente esaurito la loro funzione storica identificativa) che vorranno potranno ritrovare una ben delineata identità popolare, accompagnati da una ritrovata attenzione dei pastori che non possono rimanere indifferenti (don Luigi Sturzo o anche don Primo Mazzolari sono esempi chiari), pena la perdita di un po’ del puzzo del gregge. Proprio ai giovani va ricordato allora cos’è il popolarismo, e lo si può fare con le parole usate nel 1979 da Carlo Donat-Cattin che lo delinea nella concretezza della storia così antitetica al marketing social della politica attuale: “Noi non siamo marxisti né siamo liberali. Siamo cresciuti nel solco tracciato per faticosi decenni nella gleba dell’Italia contadina, tra le minoranze cattoliche dei quartieri operai e degli opifici di vallata della prima e della seconda industrializzazione, nel popolo minuto dedito all’artigianato e al commercio, nella schiera interminabile di educatori, intellettuali, uomini di pensiero, nella più ristretta schiera di imprenditori, di scienziati, di ricercatori chiamati alla vita sociale dalla ispirazione cristiana (…) E siamo i continuatori della tradizione politica del popolarismo”.

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