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Trump, il Covid e l’arte di cadere. Il commento di Chiara Buoncristiani

“È la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani… A ogni piano, mentre cade, l’uomo non smette di ripetere: ‘Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene’. Questo per dire che l’importante non è la caduta ma l’atterraggio”.

Mi rimbalzavano in testa queste parole mentre guardavo lo scontro in diretta tv di Trump e Biden. Parole che nel 1995 hanno fatto la fortuna del film L’odio.

Poi, il giorno dopo il dibattito, è arrivata la notizia: Trump e Melania positivi al coronavirus.

Era stato uno scontro maleducato, privo di ogni rispetto, con attacchi personali e veri e propri insulti, questo lo spettacolo offerto tra i due contendenti per la poltrona dell’uomo più potente del mondo. Più che due gladiatori, sembravano due pugili suonati. Travolti da un’angoscia della sconfitta così potente da far loro perdere l’esame di realtà e il rispetto dei limiti.

Ma il Covid non fa sconti. Tanto più hai perso l’esame di realtà, tanto più forte è l’irruzione del reale. Non c’è niente da fare, c’è un pezzo di mondo che ti resiste. Non tutto è malleabile con la persuasione o modificabile con una storia ben raccontata. Il Covid non lo è. Per questo è traumatico.

Da quando il villaggio si è fatto globale, le grandi cerimonie dei media sono gli ultimi esemplari di ritualità che ci sono rimasti. Un rito, serve ad accompagnare i momenti di passaggio. Hanno una funzione protettiva rispetto ai traumi. Fra le “cerimonie” post-moderne si contano i grandi eventi sportivi (Olimpiadi, Mondiali di calcio…), i processi per crimini eccellenti, ma anche i funerali di personaggi che sono diventati icone (Lady D, il papa). E poi, certo, le elezioni.

Dopo aver visto Trump e Biden dare prova di sé (come tanti politici nostrani per la verità) avremmo potuto depennare quest’ultima voce. E inserirla nella categoria “reality show”. Caotico, rissoso, pieno di disprezzo, delegittimazione e scherno. Questo stile ha scardinato alla radice quello che fonda l’esperienza del rito civile: l’osservanza delle regole del rito e della cerimonia.

Ecco allora come un lampo torna quella frase: “L’importante non è la caduta ma l’atterraggio”. Soprattutto se sei in un periodo in cui l’area dell’illusione è messa a dura prova da una pandemia.
Come nel judo. Nel judo si combatte, ma prima di iniziare bisogna fare un saluto tutti insieme, composti e con l’abbigliamento ordinato.

Ma perché tutte queste cerimonie? Chiede il bambino al maestro. E il maestro risponde: “Le regole in una cerimonia servono per rendere prevedibile il nostro stare insieme, per renderlo condiviso, per fare ordine là dove il trauma ha creato il caos”.

Lo scopo naturalmente non è tenere l’ordine fine a se stesso, ma spingere a mettere in ordine le cose pian piano, per aiutare a mettere ordine in testa e tra i pensieri.

Ecco il senso della ritualità. Che inquadra il combattimento e lo protegge dal diventare una rissa.

I politici di oggi, quelli americani e i nostrani, avrebbero parecchio da imparare dal judo. Un gioco che si fa insieme ad un altro, sentendone punti di forza, proteggendo le proprie aree vulnerabili, valutando e soppesando dove e quando portare l’attacco. Per fare questo bisogna essere in grado di sapere cosa significa essere l’altro, entrare profondamente in un sistema dove anch’io sono un po’ l’altro, anche solo per un istante. Dice il maestro che “la proiezione la guadagno se per un attimo rubo l’equilibrio all’avversario e lo guido giù a terra dove voglio che lui trovi lo spazio per una caduta senza ferita, controllato fino alla fine”.

Qui torna la caduta e quell’arte di cadere che l’altra sera è mancata a Trump e Biden. La qualità dell’atterraggio, proprio e dell’avversario, è importante. È quello che ristabilisce un senso e una dignità al di là di ogni sconfitta. Nel judo si dice che le migliaia di cadute che si fanno nel tempo portano il lottatore ad accettare per brevi istanti lesioni temporanee dell’io. Quando si viene messi a terra dall’altro, se non si è in gara, si è contenti, perché si è chiodo su cui si è appeso un bel quadro.

Chi sarà il prossimo presidente degli Usa dipende da come Trump saprà (e potrà) atterrare nel Covid.



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