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Libia, cosa frena il processo di pace. L’analisi di Ruvinetti

La situazione in Libia rimane sempre molto complessa, pregna di incognite e variabili, ma sicuramente si possono registrare alcuni evidenti segnali positivi verso il consolidamento di un dialogo intra-libico. Innanzitutto c’è il perdurare del cessate il fuoco a Sirte e Al Jufra, linea di confine tra le forze dell’est e dell’ovest, garantito da Turchia e Russia sponsor “militari” dei relativi blocchi; mentre parallelamente si registrano iniziative intra-libiche di dialogo.

Una è quella in Marocco, sponsorizzata dal governo marocchino e dalle Nazioni Unite tra membri del Parlamento di Tobruk e membri dell’High State Council di Tripoli, per cercare di arrivare alla nomina delle posizioni sovrane che comprendono, tra gli altri, il governatore della banca centrale, il capo dell’audit bureau, il presidente della Corte suprema. Dialogo questo che si sta rivelando non semplice, incline a rinvii e che vede l’opposizione del braccio del Parlamento che si riunisce a Tripoli tenuto fuori da questi incontri.

Come annunciato la scorsa settimana dal presidente dell’Hsc Khaled Al Mishri i negoziati avrebbero dovuto vedere la firma dell’accordo in Marocco con la presenza anche del presidente del Parlamento di Tobruk Aghila Saleh, cosa che però poi non è avvenuta a dimostrazione delle diffuse difficoltà da superare. Ma anche dell’opposizione dei Paesi che supportano l’est (Egitto, Emirati Arabi, Russia), restii a firmare un qualsiasi tipo di accordo con i rappresentanti della Fratellanza musulmana di cui il presidente dell’Hsc è un esponente di spicco. Ciò nonostante il dialogo sta continuando in questi giorni, sempre in Marocco, ma sembra difficile che si possa arrivare a qualcosa di concreto.

Un altro passo molto significativo si è verificato con l’accordo per la riapertura dei pozzi petroliferi, fatto a sorpresa tra il vice presidente del Consiglio presidenziale Ahmed Maitig (importante esponente di Misurata) e dal generale Khalifa Haftar. Accordo fatto in Russia con l’avallo dei turchi e degli egiziani, che ha sorpreso tutti in Libia e fuori, ma che ha portato alla reale ripresa della produzione di petrolio, risorsa fondamentale per l’economia libica che era bloccata da 10 mesi e che ha procurato un enorme danno economico per le mancate entrate dei proventi della vendita di greggio, nonché enormi disagi alla popolazione a causa della mancanza di energia elettrica anche per 12 ore al giorno e della scarsità di carburante per i trasporti su gomma.

In ultima istanza, il blocco del petrolio ha prodotto forti proteste della popolazione in tutta la Libia. L’accordo tra Maitig e Haftar, osteggiato fortemente dagli esponenti della Fratellanza musulmana e dagli islamisti, ha invece riscontrato una forte approvazione tra la popolazione e tra le tribù e milizie di Tripoli, Misurata e Zawiya stanche di combattere e di perdere i propri figli, mariti o fratelli nei combattimenti e nella guerra. L’accordo sta permettendo la riapertura giorno dopo giorno di tutti i pozzi petroliferi e prevede anche la creazione di una commissione mista con membri dell’est e dell’ovest per la gestione – ed equa spartizione – dei proventi. A capo della commissione dovrebbe esserci il vice presidente Maitig, cosi almeno recita l’intesa.

In questi giorni il Consiglio Presidenziale di Tripoli ne sta discutendo al suo interno perché l’obiettivo è di far partire la commissione mista entro un mese dalla riapertura dei pozzi, come puntualizzato nell’accordo stesso. Sono due le cose importanti da segnalare. La prima è che questo è un primo vero accordo e dialogo tra le due parti libiche che sta per ora funzionando e che vede un continuo contatto tra Maitig e i referenti dell’Est, portando anche alla discussione sull’unificazione del budget del paese, altro segnale importante di dialogo tra le due parti. La seconda cosa da segnalare è che Maitig con questa mossa cerca di rimettersi al centro della scena politica anche in vista dell’incontro che dovrebbe tenersi a Ginevra nel mese corrente e che secondo gli auspici della Missione delle Nazioni Unite potrebbe vedere la nascita di un nuovo Consiglio Presidenziale viste anche le dimissioni dell’attuale presidente del Consiglio presidenziale Fayez Al Serraj.

Il presunto avvicendamento sta scatenando l’appetito di molti esponenti libici che vorrebbero entrare nel nuovo Consiglio Presidenziale acuendo anche gli scontri interni e creando ulteriore destabilizzazione a Tripoli. La nascita di un nuovo Consiglio presidenziale non sarà semplice: vanno ancora superate molte divergenze, in primis tra i due blocchi est ed ovest, ma anche all’interno dei due blocchi, nell’ovest ad esempio e sempre più evidente lo scontro tra i Fratelli musulmani come Al Misrhi e i più moderati come Ahmed Maitig. Nell’est invece si registrano sicuramente divergenze tra Aghila Saleh e Khalifa Haftar, anche se tenute molto sotto traccia anche grazie a paesi come l’Egitto che fanno di tutto per tenere unita la Cirenaica.

Il presidente Saleh è un personaggio su cui alcuni Paesi europei e anche la missione delle Nazioni Unite aveva puntato, ritengono persona di riferimento dell’est in sostituzione di Haftar, ma questo si scontra con due fattori fondamentali. Il primo è che il generale continua ad avere la forza militare sul terreno, cosa che non ha Saleh; secondo, Paesi come Egitto, Russia ed Emirati non permetteranno mai a Saleh di fare qualsiasi tipo di accordo con la Fratellanza musulmana, cosa invece auspicata da qualche attore esterno. Altro punto importante da segnale, infine, che appare assai improbabile arrivare ad un nuovo governo di accordo nazionale senza avere il benestare di Mosca e di Haftar visto che la nuova sede del nuovo governo dovrebbe essere Sirte, città oggi controllata dai contractor della società russa Wagner e quindi, per procura, dallo stesso uomo forte della Cirenaica.

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