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Non solo (Hunter) Biden. Anche Trump ha il suo scandalo cinese

Il presunto coinvolgimento di Hunter Biden, figlio del candidato democratico alla Casa Bianca Joe Biden, in un affare che avrebbe riguardato la più grande compagnia energetica privata della Cina, la Cefc, è deflagrato sulla campagna elettorale a meno di tre settimane dal voto del 3 novembre. Conflitto d’interessi e pressioni da Pechino sono al centro della campagna di Donald Trump. Da Las Vegas, Navada, il presidente ha twittato che “Joe Biden non può assolutamente assumere l’incarico di presidente” con riferimento alle email trovate sul laptop del figlio, “un dato di fatto che non può essere negato”, che proverebbero rapporti d’affari poco chiari in Ucraina e Cina.

Ma, come rivelato da The Intercept, il sito di giornalismo investigativo fondato da Glenn Greenwald, anche Trump ha il suo caso “Hunter Biden”. Non in famiglia, certo. Ma all’interno della sua campagna, tra i suoi più fidati collaboratori. L’inizio dell’articolo merita di essere riportato integralmente.

Nell’aprile 2018, l’amministrazione Trump ha vietato al gigante cinese delle apparecchiature di telecomunicazione Zte di acquistare componenti dipartimento fabbricazione americana, minacciando di paralizzare le operazioni mondiali dell’azienda. Una salva di apertura nella guerra commerciale di Trump con la Cina, la misura è stata estrema. Ma Zte aveva violato i controlli sulle esportazioni vendendo tecnologia all’Iran e alla Corea del Nord, quindi ha violato un accordo con il dipartimento del Commercio in cui si era impegnata a non farlo più. Inoltre, Zte produce tecnologia che può essere utilizzata per la sorveglianza e ha legami con l’esercito cinese.

Appena un mese dopo, tuttavia, il presidente Donald Trump ha inaspettatamente twittato di essere disponibile a un un accordo che avrebbe liberato Zte dalla sanzione del dipartimento del Commercio, nota come ordine di diniego. “Troppi lavori persi in Cina”, ha scritto. I deputati repubblicani, gli analisti di Washington e il consigliere per la sicurezza nazionale di Trump John Bolton erano sbalorditi. Bolton in seguito ha definito l’improvvisa inversione di tendenza come “politica per capriccio e su impulso personale”. Ma la Casa Bianca è andata avanti comunque. All’inizio di giugno, il dipartimento del Commercio e Zte avevano raggiunto un accordo preliminare. A luglio, il dipartimento del Commercio ha revocato il divieto.

Com’è accaduto? The Intercept ha acceso un faro sulla società di lobbying statunitense Mercury Public Affairs, che ha un contratto con Zte da 75.000 dollari al mese. A gestire questo specifico dossier è stato un partner di Mercury che è stato anche consigliere per la campagna di Trump, Bryan Lanza. Che si è recato in Cina con un collega, un altro “veterano” della campagna di Trump: Eric Branstad, ex funzionario del dipartimento del Commercio e figlio di Terry Branstad, ambasciatore statunitense in Cina che il portavoce della diplomazia di Pechino definì un “vecchio amico del popolo cinese” ma che ha da poco lasciato il suo incarico senza dare troppe spiegazioni.

Eric Branstad — che nel 2017 faceva parte della delegazione statunitense che ha accompagnato il presidente Trump a Pechino — nega di aver violato la legge. Tuttavia, scrive The Intercept, se “avesse contattato i suoi ex colleghi al dipartimento del Commercio circa Zte, avrebbe violato un impegno etico da lui firmato quando ha lasciato il dipartimento nel 2017. L’impegno gli impedisce di fare lobbying sull’agenzia per cinque anni dopo aver lasciato il suo lavoro lì”. Email e agende del dipartimento del Commercio ottenute attraverso richieste del Freedom of Information Act “suggeriscono che Eric Branstad abbia lavorato con Lanza a fasi alterne dopo il loro incontro nella campagna Trump del 2016”.

Ora i Branstad sono tornati in Iowa, di cui Terry è stato per lungo tempo governatore. Con quell’incarico nel 1985 accolse il leader cinese Xi Jinping, allora vice segretario del Partito comunista cinese nella provincia dell’Hebei, gemellata con l’Iowa. Durante il suo mandato cercò di rafforzare i legami con la Cina, ritenendola uno sbocco per l’export di mais, soia e carne di maiale. Oggi lavora per la rielezione del presidente Trump mentre il figlio è senior adviser della campagna. E nonostante le difficoltà elettorali nel decisivo Stato dell’Iowa, dove il vantaggio su Biden è sempre più ridotto, Trump continua a considerare la famiglia Brandstad un prezioso asset. Tanto da ringraziarla pubblicamente durante uno comizio della scorsa settimana a Des Moines: ha elogiato quanto fatto da Terry Brandstad da ambasciatore a Pechino e la sua amicizia con Xi. “Suo figlio Eric è anche meglio di lui”, ha aggiunto.

(fonte: Twitter @TerryBranstad)



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