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Phisikk du role – Quello di papa Francesco è davvero uno strappo?

Non è una rivoluzione, ma solo la declinazione di un dovere di amore e compassione che sta nella missione cristiana e che Francesco riesce a declinare in via diretta, senza bizantinismi curiali. Le vere rivoluzioni? Il matrimonio dei preti, i sacramenti per i divorziati. Strappi dottrinari e lacerazioni forti. La rubrica di Pino Pisicchio

Chi pensa ancora che le parole sono come pietre e che recano un’anima esclusiva ed irrevocabile, dovrà farsene una ragione: la parola trasfigurata dai media non è più come pietra. Piuttosto un pizzico di cera pongo, modellabile a misura di chi le riceve, secondo il gradimento, mentre solo un’eco gracilissima del senso originario si trascina fino a noi.

Prendiamo l’intervista di papa Francesco sui gay, peraltro diffusa a mesi di distanza ma deflagrata sui media in queste ore. La lettura “politicista” che se ne fa è quella di un’apertura ai matrimoni omosessuali, alle unioni civili, alla genitorialità surrogata. Quando, invece, l’accento di Bergoglio, ben lontano da ogni strappo dottrinale, è posto a caratteri cubitali sul valore della persona, quale che possa essere l’aggettivo che ad essa si accompagna, sul dovere della Chiesa di lenire la sua sofferenza, sulla necessità di prestare tutela ai figli e, in piena coerenza col Nuovo Testamento, di rispettare le leggi dello Stato a tutela dei cittadini (date a Cesare…).

Non è rivoluzione, né deviazione dal solco, a meno che non assumiamo come traccia i passi del Levitico che promuovono la pena di morte per gli omosessuali o della Genesi che fanno offrire da Lot le sue figlie vergini ai concittadini di Sodoma per evitare che questi stuprino due angeli ospitati nella sua casa (riferimenti e comportamenti che faremmo un po’ fatica a considerare “cristiani” nell’accezione che siamo abituati a conferire oggi al lemma).

Nessuna traccia di storie omosessuali, invece, nel Vangelo. Dunque Bergoglio dice a chiare lettere una verità che non si può soffocare nelle procedure e nei riti: la carità cristiana cerca l’Uomo e gli sta accanto, lo rispetta, lo sostiene e ne condivide l’essenza rispondendo al comandamento universale consegnato dal sacrificio di Cristo, che è puro amore.

Il che, è vero, rappresenta una distanza siderale da quello che talvolta ci capita di ascoltare nelle omelie della domenica, astratte nell’ascesa verso un Dio umbratile ragioniere delle nostre miserie, e in quell’ascesa gonfia di dottrina biblica e di rito, dimentiche dell’imperfezione dei suoi figli. Peccatori, certo, ma in cerca di pietas cristiana.

Ecco: Francesco riporta in mezzo al popolo, a tutto il popolo, non solo quello cattolico, il Nuovo Testamento dell’amore, lasciando più indietro l’Antico Testamento del rimprovero e delle punizioni, che sembra avere dentro l’algoritmo del Paradiso e dell’Inferno. In questa apertura delle braccia alla persona – ai poveri, ai malati, ai vecchi, ai bambini, alle donne, ai migranti – Bergoglio include le persone omosessuali che sotto la sovranità di Cesare si uniscono civilmente.

Non è una rivoluzione, ma solo la declinazione di un dovere di amore e compassione (dal latino “cum patior”, soffro con, partecipo con il mio sentimento) che sta nella missione cristiana e che Francesco riesce a declinare in via diretta, senza bizantinismi curiali, seguendo la sua indole di gesuita latino-americano. Le vere rivoluzioni? Il matrimonio dei preti, i sacramenti per i divorziati, per esempio. Strappi dottrinari e lacerazioni forti, non c’è dubbio. Ma se la bussola è quella dell’incontro con la persona umana niente potrà mai essere contro il comandamento dell’amore.

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